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Primo Capitolo
Ritorno nelle terre devastate
Avevo abbandonato Jack’s Town, la città che portava il mio nome, ormai da diversi giorni.
Come mi sarei aspettato, nessuno di quei poveri bastardi si era azzardato a venirmi dietro per chiedermi qualcosa o per farmi tornare sui miei passi.
Ma anche se lo avessero fatto, anche se avessero tentato di farmi tornare indietro, non li avrei ascoltati.
Avrei proseguito per la mia strada, lasciandomi alle spalle quel posto per tornare ad affrontare le terre devastate.
Quella gente non aveva niente da rimproverarmi.
Avevo dato il mio contributo per costruire quell’oasi felice nelle terre devastate.
Avevo ucciso Abigail, il Signore della Sabbia che regnava su quelle terre.
Avevo dato la possibilità di avere un posto in cui vivere a quei nomadi che vagavano nel nulla alla continua ricerca di qualcosa che non avrebbero trovato, e che mi avevano aiutato durante la presa di OilTown.
Avevo dato la libertà a quei ragazzini che furono costretti a lavorare nelle fabbriche di munizioni di quella psicopatica di Abigail.
Avevo fatto di tutto per creare quella piccola comunità, come avevo fatto di tutto per donare un futuro a quella gente.
Ma, purtroppo per loro, era arrivato il momento di andarmene.
Alcune settimane prima che lasciassi quel dannato posto, iniziai a sentire il richiamo delle terre devastate che tuonava all'interno della mia testa come un rullo di tamburi che suonava con tutta la violenza e la brutalità di cui era capace.
Nonostante avessi tentato con tutta la forza che avevo di porre resistenza a quella chiamata, cercando di accettare l’idea di trascorrere il resto dei miei giorni in quel dannato posto, non riuscii a placare quelle voci che mi obbligavano a riprendere quel viaggio che avevo interrotto dopo aver liberato quelle città.
Preparai di nascosto un veicolo, sul quale caricai scorte di acqua, cibo e qualche cassa con le munizioni per le mie armi, mentre gli altri abitanti continuavano la loro vita ignari delle mie reali intenzioni.
Così, nel cuore della notte, quando tutto era ormai pronto, me ne andai per riprendere il mio viaggio verso la costa nord, dove dicevano che la civiltà era sorta come prima della fine del mondo.
Ovviamente non potevo sapere se quelle voci fossero vere o meno, ma sentivo il bisogno di vedere con i miei occhi come fosse veramente la situazione da quelle parti.
Dovevo farlo per trovare la mia pace interiore.
Naturalmente non informai nessuno della mia imminente partenza.
Non ne parlai nemmeno con Sarah, la donna che mi aveva assistito nella crescita di quella città.
Infatti, ero certo quelle persone non avrebbero capito le mie intenzioni.
Avrebbero tentato di dissuadermi da quella mia decisione come meglio avrebbero potuto.
Ero comparso nelle loro vite in silenzio, provenendo dal nulla e dalla desolazione delle terre devastate, e allo stesso modo me ne andai per la mia strada, senza mai voltarmi indietro, senza alcun pentimento e trascinandomi dietro quello stesso silenzio.
Mi ritrovai quindi a sfrecciare con il mio veicolo attraverso quella distesa di sabbia e rocce, dove si potevano ancora incontrare alcuni resti del mondo passato, insieme ai mezzi militari abbandonati durante il conflitto che segnò la fine del mondo che conoscevo.
Anche se la sabbia stava coprendo con impegni i segni della nostra civiltà perduta, loro tentavano di porre una minima resistenza permettendomi di poterle ammirare ancora.
Guidavo verso nord, verso la costa, e prestavo attenzione al mondo che mi circondava, sperando che nessuno di quei farabutti, violenti e psicopatici, sbucasse fuori dal nulla per tentare di assalire il mio veicolo solitario.
Per precauzione avevo lasciato un fucile a canne mozze, con il colpo in canna, sul sedile del passeggero, pronto all’uso.
Proseguivo a guidare, con quelle macerie che accompagnavano il mio viaggio, mantenendo lo sguardo fisso davanti a me, senza mai voltarmi indietro.
Guidavo attraverso quelle dune di sabbia formate dalle frequenti tempeste causate dai drastici cambiamenti climatici provocati dallo scoppio degli ordigni nucleari e dall’impatto coi detriti di quella fottuta cometa, mantenendo la direzione che mi ero prefissato.
Proseguivo tenendo lo sguardo fisso di fronte a me, senza lasciarmi distrarre troppo dalla desolazione e dall’abbandono che regnavano sovrani su quelle terre.
Guidavo senza problemi e senza pensare a niente di particolare, quando notai che il Sole era prossimo a tramontare.
Così, rallentai il veicolo, guardandomi intorno per trovare un posto dove fermarmi e accamparmi, dove mi sarei concesso un pasto e dove mi sarei riposato per la notte.
A poche decine di metri da me, notai i resti di una vecchia casa coloniale che ancora si teneva in piedi in mezzo al nulla, resistendo con gli artigli al peggio che poteva offrire quel mondo.
Vedendo che non c’erano veicoli nei paraggi, mi diressi verso quell’edificio, muovendo lo sguardo sulle sue pareti esterne, ridotte quasi a brandelli dal tempo e dalla guerra.
Quel posto sembrava tranquillo; almeno, non vedevo nessuno nei paraggi e avrebbe potuto offrirmi una degna copertura per trascorrere la notte con entrambi gli occhi chiusi.
Trovatomi a pochi metri di distanza da quell’edificio, rallentai il veicolo e afferrai il fucile a canne mozze con la mano destra.
Proseguii a passo d’uomo mentre controllavo il posto per cercare un nascondiglio per il mezzo che mi aveva condotto sin lì.
Mossi lo sguardo su tutto l’edificio che si stava avvicinando a me, fino a quando trovai un’apertura sul fianco destro, dove avrei potuto nascondere il mio veicolo.
Così, mi diressi verso quell’apertura, continuando a guardarmi intorno per accertarmi che non ci fosse nessuno nei paraggi.
Parcheggiai il veicolo all’interno di quell’apertura che avevo visto mentre mi avvicinavo e, dopo aver spento il motore, scesi per recarmi sul retro, dove si trovava il bagagliaio, per prendere le mie scorte di cibo e una coperta.
Mi allontanai leggermente dal veicolo e andai a sedermi su alcune macerie, in un posto piuttosto nascosto dalla vista esterna, ma con delle fessure alle pareti che mi permettevano di vedere se qualcosa si fosse mosso là fuori.
Appoggiai il fucile a canne mozze sopra le gambe e aprii lo zaino, che conteneva le mie scorte di cibo e acqua, per afferrare un barattolo di metallo che conteneva della carne essiccata.
Tolto il coperchio da quel barattolo, lo avvicinai al naso per annusare l’odore del suo contenuto, in modo da accertarmi che fosse ancora commestibile.
L’odore non era dei migliori; in fondo quella carne si trovava all’interno di quel barattolo da diversi giorni ed era stata sottoposta alle temperature che si potevano trovare là fuori, ma di certo non mi avrebbe ucciso.
Afferrai un pezzo di quella carne con le dita e la avvicinai alla bocca per poi staccarne un pezzo con i denti.
Tenni alcuni istanti quella carne in bocca, poi mi decisi a iniziare a masticarla, mentre muovevo lo sguardo verso l’esterno, dove la notte stava calando, permettendo alle stelle in cielo di essere ben visibili a occhio nudo.
Mangiai con tutta calma quella carne, prestando attenzione a non consumarne troppa, poiché non sapevo quando avrei avuto la possibilità di fare altre scorte, visto che stavo attraversando terre che non conoscevo.
Finito di mangiare, riportai lo zaino nel bagagliaio del mio veicolo e lo sistemai al suo interno prestando attenzione al resto della roba che tenevo la dietro.
Chiuso il portello del bagagliaio, mi spostai verso l’esterno, dove tirava un leggero venticello che mi rinfrescava il viso.
Assaporai quell’aria fresca per alcuni istanti, quando decisi di mettermi a sedere su alcune macerie che trovai là fuori.
Ammirai il paesaggio, illuminato dalla luce riflessa della Luna, che si estendeva di fronte ai miei occhi, mentre venivo travolto dal silenzio assordante che invadeva quel posto.
Rimasi diverso tempo a scrutare l’ambiente di fronte a me, fino a quando decisi di andare a dormire, in modo da poter riprendere il mio viaggio con le prime luci dell’alba.
Così, lasciai il mio punto di osservazione e tornai all’interno dell’edificio.
Mi diressi verso il mio veicolo e mi sistemai sul sedile del conducente abbassando leggermente il suo schienale per stare più comodo.
Sistemai la coperta presa dal bagagliaio su di me e, infine, appoggiai il fucile a canne mozze sulle gambe per tenerlo pronto ad ogni evenienza.
Il mattino seguente fui svegliato dai raggi del Sole che schiaffeggiavano il mio volto, obbligandomi a lasciare il mondo dei sogni per addentrarmi nel mondo dei vivi.
Aprii gli occhi e guardai intorno, mentre mi strofinavo le labbra con la mano e mi toglievo la coperta dal corpo.
Afferrai il fucile a canne mozze e lo appoggiai sul sedile del passeggero.
Scesi dal veicolo e mi stiracchiai la schiena, piegandomi all’indietro e in avanti, mentre volgevo lo sguardo verso la pianura sabbiosa che si estendeva fuori dall’edificio che mi aveva ospitato durante la notte.
Constatato che non c’era nessuno nei paraggi, dopo aver controllato il paesaggio, tornai a bordo del veicolo.
Chiuso lo sportello, avvicinai la mano al pulsante di accensione del motore, dopo aver agito sugli interruttori per disattivare il sistema di sicurezza.
Ascoltai il piacevole rombo del motore del mio veicolo per alcuni istanti, poi decisi di ingranare la retromarcia e affondare leggermente il pedale dell’acceleratore per uscire da quel riparo.
Ritrovatomi all’aperto, lanciai un’ultima occhiata a quell’edificio malridotto che mi aveva permesso di riposare durante la notte senza correre rischi, e ingranai la marcia per poter riprendere il mio viaggio attraverso il nulla più assoluto.
Pochi istanti dopo, mi allontanai da quell’edificio il più velocemente possibile, riprendendo il mio viaggio in solitaria verso nord.