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Primo Capitolo
Nascosto nel buio
Mi ritrovai in un piccolo e sporco monolocale, posto al secondo piano di una palazzina che sorgeva in una delle periferie più malandate della città in cui vivevo, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza.
Mi ero nascosto in quel posto ormai da alcune settimane, o da alcuni giorni, difficile da dire visto che non mi rendevo conto di quanto tempo fosse passato dal mio arrivo.
Vivevo nel terrore più assoluto, perfino della mia stessa ombra.
Appena entrato in quel buco schifoso, mi fiondai alle finestre, che lo illuminavano e davano sulla strada che passava davanti a quell’edificio, per chiudere le tende.
Finito con le finestre, mi scagliai contro la porta d’ingresso per bloccarla.
Trascorrevo gran parte della giornata a camminare attraverso quel monolocale, con addosso una vestaglia sudicia e un paio di pantofole ai piedi, di cui non riconoscevo più nemmeno il colore, mentre fumavo nervosamente.
Mi muovevo nell’oscurità che invadeva quel locale, prestando attenzione a tutti i rumori provenienti dalla porta d’ingresso, pregando che non stessero venendo a prendermi.
Di tanto in tanto, quando l’agitazione e la paranoia mi assalivano, mi recavo alla finestra e scansavo leggermente le tende che la coprivano per volgere lo sguardo verso l’esterno e vedere se qualcuno di quella gente mi avesse trovato.
Timidamente, scansavo quella tenda, quel tanto che mi bastava per poter vedere qualcosa, e gettavo delle rapide occhiate attraverso il vetro verso la strada che passava là fuori.
Appena mi sinceravo che nessuno di sospetto si trovasse lungo quella strada, richiudevo velocemente la tenda e tornavo a camminare attraverso quel monolocale cercando di tranquillizzarmi.
Ma non sempre riuscivo a calmarmi.
Così, tornavo a fumare quelle dannate sigarette, tenendole con la mia mano tremolante e volgendo il mio sguardo verso il nulla.
A volte sentivo bussare alla porta d’ingresso.
In ogni occasione sentivo il cuore balzarmi in gola, mentre volgevo lo sguardo verso quella porta temendo il peggio.
Nonostante sapessi che quella gente che mi stava cercando non avrebbe mai bussato alla mia porta, quel brivido di terrore mi assaliva ogni volta.
Quella non era gente che bussava alle porte delle persone che stavano cercando, e lo sapevo fin troppo bene.
Se fossero stati là fuori, avrebbero sfondato quella porta con forza e sarebbero entrati nel mio nascondiglio con le armi puntate contro di me.
Quando sentivo bussare, mi avvicinavo con passo tremolante-
Mi appoggiavo al legno e avvicinavo l’occhio allo spioncino, dove potevo vedere il ragazzo che mi portava da mangiare due volte al giorno, proprio come gli avevo chiesto appena arrivato in quel monolocale.
Quel povero ragazzo si ostinava a portarmi da mangiare ogni giorno, nonostante non fossi in grado di farlo, anche se ci provavo ogni volta.
Preso quel cibo, lasciavo dei soldi al ragazzo e, in seguito, gli chiudevo letteralmente la porta in faccia.
Con quel cibo in mano, mi allontanavo dalla porta per recarmi all'angolo cucina e lasciarlo sopra il tavolo, dove ne stavo ammucchiando talmente tanto da nutrire quei dannati scarafaggi che ne avevano fatto l'unico mezzo di sostentamento.
E pensare che fino a pochi mesi prima vivevo in un attico completo delle ultime tecnologie disponibili sul mercato, situato in un edificio nei pressi del centro della città, dove vivevano persone normali che mi salutavano con rispetto ogni volta che le incontravo.
Amavo quel mio appartamento.
Era completo di tutto: una cucina ben arredata, una camera da letto con un armadio pieno di abiti all'ultima moda, un piccolo ufficio dove trascorrevo gran parte della giornata a svolgere il mio lavoro, e un'ampia terrazza dalla quale potevo vedere gran parte della città.
A quei tempi avevo una mia attività ben avviata, che mi fruttava molti soldi e mi permetteva di vivere con una certa dignità, garantendomi tutto ciò di cui avevo bisogno.
Avevo intrapreso quell’attività poco dopo essere tornato dalla guerra, quando incontrai delle persone che mi offrirono una nuova tecnologia che permetteva di estrarre i ricordi dalla mente delle persone, per trasferirli in seguito nella mente di quelli che sarebbero diventati i miei clienti.
Certo, non potevo dire che quel lavoro fosse del tutto legale; il governo era stato chiaro sulla manipolazione dei ricordi o di qualsiasi altro tipo di attività svolta all’interno del cervello umano.
Ma a me non importava.
Mi permetteva di guadagnare molto bene, soprattutto dopo che riuscii ad entrare nell’ambiente dei più potenti malavitosi della città, i quali avevano spesso bisogno dei miei servizi e non badavano troppo ai soldi che chiedevo loro.
La mia vita procedeva per il meglio, oltre ogni mia aspettativa.
Facevo soldi a palate, avevo degli amici con cui trascorrere il mio poco tempo libero e possedevo quell’appartamento che completava la mia persona.
Insomma, non avrei potuto chiedere di meglio.
Ma quando dicono che le cose belle durano poco, posso dire che è vero e che l'ho vissuto sulla mia pelle.
I miei guai arrivarono quando mi imbattei nei ricordi di un cadavere che avevo trovato alle pompe funebri, dove ero solito recarmi per estrarre quei ricordi che poi rivendevo.
Dopo aver estratto quei ricordi dai diversi cadaveri trovati quella notte, li portai a casa per analizzarli e catalogarli, dopo aver dato la solita mazzetta all’addetto notturno di quelle pompe funebri che mi permetteva di fare i miei comodi con i cadaveri che teneva nel seminterrato.
Comunque, una volta rientrato in casa, inserii nel mio computer quei ricordi per visionarli, quando mi imbattei in quelli di un investigatore privato, di cui mi aveva parlato l’addetto delle pompe funebri stesso.
Quell’investigatore, morto in circostanze mai chiarite, stava indagando su una donna di nome Mary Godhand, che scoprii in seguito essere una giornalista indipendente.
L’investigatore aveva scoperto che quella donna stava facendo domande riguardo ad alcuni incidenti avvenuti nella nostra città, che avevano coinvolto alcune persone appartenenti al governo della città stessa e che erano avvenuti in modo piuttosto sospetto.
Tutte quelle persone erano morte in incidenti stradali o per problemi di salute, nonostante fossero tutti sani e ben controllati dai migliori medici della città, almeno secondo quanto riferivano i giornali che ne avevano parlato.
Ma, secondo quella donna, il motivo della loro morte era ben diverso dalla versione ufficiale dei fatti, e lei si impegnava a portare alla luce quella verità che veniva nascosta a noi cittadini.
Da quel poco che avevo scoperto tra i ricordi di quell’investigatore privato, la donna era in possesso di diverse informazioni riguardo a quegli incidenti.
Purtroppo, non riuscii a scoprire di cosa si trattasse, poiché l’investigatore venne trovato morto in un vicolo.
La versione ufficiale dei fatti, almeno quella che mi riferì l’addetto delle pompe funebri, diceva che quell’uomo venne condotto in quel vicolo da alcuni furfanti che intendevano rapinarlo.
L'uomo cercò di liberarsi, ma i malviventi reagirono sparandogli diversi colpi in pieno petto.
Il suo cadavere venne scoperto da un barbone che cercava rifugio tra la spazzatura che riempiva quel vicolo, e questa era l’unica cosa vera di quel fatto.
Ma secondo i ricordi di quell’uomo, quelli che trovai nella sua mente, venne ucciso da due strani tizi vestiti di nero, che lo portarono in quel vicolo dopo averlo incontrato per strada.
Quei due uomini fecero diverse domande all’investigatore, mentre lui implorava di lasciarlo andare, dicendo che non aveva molto da dire riguardo a ciò che gli veniva chiesto.
Uno dei due, spazientito, gli puntò la pistola contro e sparò diversi colpi, uccidendolo.
Nel vedere quei ricordi, rimasi terribilmente scioccato e li archiviai nel mio computer, in una cartella dove tenevo il materiale non idoneo alla vendita.
Cercai di non pensare più a quelle immagini e continuai con la mia vita di tutti i giorni e con il mio lavoro, fino a quando incontrai quella stramaledetta donna, Mary Godhand.
La incontrai in un locale della città, dopo aver consegnato del materiale ad un mio cliente, mentre stava tenendo d’occhio della gente che sedeva ad alcuni tavoli di quel posto.
Incuriosito per averla incontrata in quel locale, iniziai a seguirla per cercare di capire cosa stesse facendo di così sospetto da attirare l’attenzione di un investigatore privato.
Fu l'incontro con quella donna a rovinare per sempre la mia vita, costringendomi a nascondermi in quel dannato monolocale per sfuggire a quella gente che mi stava dando la caccia.