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Primo Capitolo
Attesa a BulletTown
Mi trovavo nel silenzio della mia camera da letto e avevo appena finito di vestirmi per recarmi nella sala riunioni, dove avrei atteso l’arrivo di Theodore, mio braccio destro e amico.
Quel giorno ero stata convocata dai miei comandanti per un incontro a BulletTown, durante il quale avremmo discusso di alcuni problemi sorti negli ultimi tempi.
Dei banditi avevano assalito uno dei convogli diretti a Hannibal Town e rubato delle proprietà a me appartenenti; dovevo quindi affrontare la questione con i miei comandanti prima di decidere come procedere.
Ovviamente, in quanto Signore della Sabbia e sovrana di quelle terre, avrei potuto agire autonomamente, senza bisogno di confrontarmi con loro.
Ma avevo bisogno di quella gente: mi rispettavano e mi permettevano di essere il loro reggente.
Per questo, era mio dovere ascoltarli prima di prendere una decisione definitiva.
Il convoglio, da quanto mi venne riferito, era stato attaccato poco fuori dal cratere in cui sorgevano le nostre città.
Era composto da una cisterna piena di carburante e da un furgone che trasportava munizioni.
Quel carico faceva parte dei rifornimenti che inviavo ogni mese ad Hannibal, mio alleato, in cambio di cibo e parti di ricambio utili per assemblare i nostri veicoli a WreckageTown.
Avevo stretto un’alleanza con Hannibal da alcuni mesi e i nostri scambi commerciali procedevano nella direzione stabilita.
Non avrei mai permesso che dei banditi compromettessero quell’accordo.
Certo, in passato avrei potuto combatterlo e prendermi la sua città, ma era troppo lontana dalle nostre terre.
Preferii quindi seguire la via diplomatica, piuttosto che scatenare una guerra.
Lasciata la camera, mi ritrovai nel salone della mia dimora, dove si trovavano la mia poltrona e una vecchia scrivania che avevo fatto sistemare dalla mia gente.
Mi sedetti sulla poltrona e accavallai le gambe, godendomi il silenzio che avvolgeva la casa, interrotto solo da alcune voci lontane provenienti da OilTown.
Posai lo sguardo sul pavimento in legno e accennai un sorriso, ripensando a quanta strada avevo fatto da quando il mondo era andato in malora per colpa di quei fottuti generali.
Non era bastato, per loro, aver distrutto parte del pianeta nel tentativo di fermare quella stupida cometa che aveva scagliato i suoi detriti contro di noi.
No, dovettero anche scontrarsi tra loro, lanciarsi le ultime testate nucleari rimaste per dimostrare chi di loro lo aveva più duro.
E quelle testate nucleari avevano spazzato via tutto ciò che restava di millenni di evoluzione della storia umana.
Per non parlare dei drastici cambiamenti climatici scatenati da quelle due sciagure, che resero la vita per noi sopravvissuti più dura di quanto avessimo potuto immaginare.
Quei generali, con la loro superbia, avevano condannato tutti noi a vivere una tragedia in cui solo pochi riuscivano a sopravvivere, contando unicamente sulle proprie forze.
A volte, quando ripensavo a quegli eventi, memorie di un tempo ormai troppo lontano, mi chiedevo quale fosse stata la vera tragedia: sopravvivere a tutto questo, oppure non morire durante quegli stessi eventi.
Nonostante la sofferenza e la distruzione causate dalla follia di chi era al comando, dal mio punto di vista, la fine del mondo fu anche una sorta di rinascita.
Certo, all’inizio fu dura.
Fui costretta ad affrontare svariate difficoltà, incontrare veri pezzi di merda che cercarono perfino di uccidermi.
Ma alla fine ne uscii vincitrice, diventando il Signore della Sabbia al comando di ben tre città: OilTown, WreckageTown e BulletTown.
Non fu facile arrivare a quel punto, ma mi feci valere.
Col tempo, trovai la forza per sopraffare chiunque ostacolasse il mio cammino e riuscii nel mio intento.
E pensare che, prima che tutto andasse in malora, ero una normale commessa sottopagata che lavorava dieci ore al giorno, sette giorni su sette, solo per pagare l’affitto e riempirmi lo stomaco.
Non avendo un titolo di studio, non avevo un futuro.
Nessuna possibilità di trovare un lavoro migliore, nessuno stimolo.
Ma la fine del mondo aveva cambiato le carte in tavola del mio destino.
Non mi ero lasciata sopraffare dalla distruzione né dalla sabbia portata dai cambiamenti climatici, ed ero diventata un Signore della Sabbia, uno dei più potenti.
Accennai un sorriso, mentre continuavo a perdermi tra quei ricordi e pensieri, quando mi accorsi che il montacarichi si stava muovendo.
Rivolsi lo sguardo verso la fessura nel pavimento, dove sarebbe apparsa la piattaforma che collegava la mia dimora alla città sottostante.
Rimasi comodamente seduta sulla poltrona, lasciandomi alle spalle quei ricordi.
Trascorsero pochi istanti prima che apparisse Theodore, con il suo buffo cilindro in testa, il bastone da passeggio su cui reggeva il peso dei suoi anni e quell’abito scuro pieno di toppe.
Appena la piattaforma raggiunse il livello del pavimento, il mio braccio destro la lasciò per avvicinarsi a me, mentre io lo fissavo senza muovermi.
«Abigail, mio signore, il veicolo è qui sotto… ti sta aspettando» disse, chinando leggermente il capo in avanti, come era solito fare quando si presentava a me.
«Theodore, amico mio, quando siamo soli non ne hai bisogno» gli risposi, riferendomi a quel suo inchino che, come gli avevo detto più volte, poteva evitare in assenza degli altri.
«È anche grazie a te se sono qui… ricordalo sempre» aggiunsi, alzandomi dalla poltrona per raggiungerlo.
«Non lo dimenticherò mai… ma il Signore della Sabbia sei tu, Abigail… ricordalo sempre!» replicò lui, indicando con la mano la piattaforma che ci attendeva.
Non risposi alle sue parole, mi limitai ad accennare un sorriso e, insieme a lui, raggiunsi la piattaforma che mi avrebbe portato a terra.
Il mio uomo colpì un paio di volte il pavimento della piattaforma, per segnalare agli uomini di sotto di azionare le ruote che ci avrebbero fatto scendere.
La piattaforma iniziò a muoversi lentamente, barcollando e scricchiolando leggermente, mentre io restavo al fianco di Theodore, che teneva lo sguardo fisso davanti a sé, appoggiato al suo bastone.
Appena uscimmo dalla copertura offerta dalla pavimentazione della mia dimora, venni inondata dalla potente luce del sole, che scagliava tutta la sua forza sulle terre devastate.
La luce era così intensa che fui costretta a sollevare una mano per proteggere la vista, mentre chiudevo leggermente gli occhi.
Theodore, vedendomi così, mi porse un paio di occhiali scuri che teneva sempre pronti per me.
Indossati gli occhiali, la mia vista si adattò rapidamente, permettendomi di abbassare la mano che avevo usato per ripararmi dalla luce, proprio mentre la piattaforma raggiungeva il suolo, dove ci attendeva il mio veicolo.
Quello era un vecchio veicolo di lusso, uno di quelli che un tempo trasportavano persone importanti e famose, con tanto di autista personale.
La carrozzeria mostrava numerose saldature e toppe, necessarie per tenerla insieme ed evitare che crollasse a pezzi.
Della vernice originale restavano solo pochi ricordi, scoloriti e consumati dal tempo.
Intorno al veicolo, oltre al conducente che ci attendeva di fronte alla portiera posteriore, c’erano alcuni motociclisti pronti a scortarci fino a destinazione.
Anche se non avevo davvero bisogno di una scorta, dato che i miei Figli della Sabbia pattugliavano incessantemente il perimetro delle tre città, era stato Theodore stesso a richiederla.
Ovviamente, aveva preso quella decisione per la mia sicurezza, viste le recenti vicende legate all’assalto del nostro convoglio, e per mandare un messaggio chiaro a chiunque avesse avuto la pessima idea di attaccarmi: non sarebbe stato facile come forse si aspettava.
Una volta a terra, salutai con un cenno della mano gli uomini che erano lì ad aspettarmi, poi mi diressi verso il veicolo che ci attendeva.
Il mio braccio destro affrettò il passo per raggiungere lo sportello e aprirlo, permettendomi di salire, chinandosi come era solito fare ogni volta che mi accoglieva.
Salita a bordo, mi sistemai sul sedile, mentre anche Theodore entrava e si accomodava di fronte a me, con le spalle rivolte verso il conducente.
«BulletTown!» ordinò al conducente, dopo aver bussato con l’impugnatura del bastone sul vetro che separava i due abitacoli.
Il conducente, ricevuto l’ordine, fece un cenno ai motociclisti per indicare che stavamo per partire, quindi avviò il veicolo.
Si diresse lentamente verso la strada sabbiosa che ci avrebbe condotti a destinazione, mentre i motociclisti ci seguivano a distanza ravvicinata.
Usciti dal perimetro della città, l’uomo alla guida aumentò leggermente l’andatura, prestando però attenzione a non accelerare troppo: il terreno accidentato avrebbe potuto disturbarmi.
Nel frattempo, alcuni motociclisti si portarono ai lati del veicolo, altri si disposero nelle retrovie, e un paio presero posizione davanti a noi, quasi a voler aprire la strada.
Mentre il veicolo procedeva verso la nostra destinazione, mi voltai verso il finestrino oscurato alla mia sinistra, per osservare la città che avevo costruito intorno al pozzo petrolifero conquistato diversi anni prima.
Posai lo sguardo sulla mia dimora, che si ergeva al di sopra di massicce palizzate in legno, sorvegliata da uomini armati di fucile che vegliavano su di essa giorno e notte.
Spostai poi lo sguardo verso la pompa petrolifera, conquistata con il sangue di coloro che scelsero di unirsi a me, mentre continuava a estrarre il petrolio dalle viscere della terra, offrendoci una possibilità di sopravvivenza in quelle terre devastate.
Infine, attraversai con lo sguardo le baracche costruite intorno alla mia residenza, dove numerose persone si muovevano, indaffarate nelle proprie attività quotidiane.
Ricordai quei giorni, poco dopo essermi impossessata di quel posto, quando i miei fedeli iniziarono a costruire le loro nuove case sotto il mio sguardo fiero, e quello di Theodore, che seguiva da vicino i lavori.
Accennai un sorriso, rivolto a quei ricordi, quando notai un veicolo che stava uscendo dalla città per unirsi a noi nel viaggio verso BulletTown.
«Elena, il nostro comandante, si unirà a noi» disse Theodore, indicando il veicolo che ci stava seguendo.
Rivolsi lo sguardo verso quel mezzo, assemblato alla meglio con pezzi recuperati da altri veicoli, messi insieme dalla gente di WreckageTown, coloro che si occupavano della costruzione dei nostri mezzi.
La mia piccola Elena si era unita a noi, come avevo richiesto, nonostante le avessi concesso il privilegio di salire sul mio veicolo, un onore che non offrivo a chiunque.
Ma lei preferì seguirci a bordo del suo veicolo, per non dare l’impressione agli altri di essere la mia favorita, nonostante tutti conoscessero la nostra storia.
Decisi comunque di farla venire con me, perché, qualora il consiglio avesse scelto di mandare qualcuno a cercare quei banditi, Elena sarebbe stata la candidata ideale.
Lei li avrebbe cercati.
Avrebbe trovato un modo per recuperare quanto era stato rubato al Signore della Sabbia che regnava su quelle terre.
E lo avrebbe fatto a qualsiasi costo, senza arrendersi, senza permettere a nessuno di ostacolarla.
Mi rilassai sul sedile, mentre mi preparavo mentalmente all’incontro con gli altri comandanti e i nostri veicoli attraversavano il deserto sabbioso che separava OilTown da BulletTown.