Michele Scalini
La città di Helena
La città di Helena
Trama:
La città di Helena non dà segni di vita da settimane.
Tutti i cittadini sono scomparsi nel nulla.
Vengono inviati agenti federali per investigare sul posto, ma anche di loro non si ha più notizie.
Temendo il peggio, il presidente in persona si affida al Reparto, un team d’élite composto da agenti dormienti sparsi per tutto il paese, altamente addestrati e preparati per affrontare situazioni disperate.
Con le poche informazioni ricevute dal presidente in persona, la squadra di Connor si addentra in quella città apparentemente abbandonata per investigare e capire dove siano finiti tutti i cittadini.
Al loro arrivo, incontrano una ragazzina che sostiene di parlare con la città stessa, definendola un’entità viva e piuttosto malvagia.
L’incontro con quella strana ragazzina darà il via a un incubo che la squadra dovrà affrontare attraverso le vie di quella città se vuole sopravvivere.
Dettagli Prodotto:
Editore: Independently published
Data pubblicazione: 2 Luglio 2024
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 276 pagine
ISBN: 979-8332040993
Genere: Avventura, Azione, Horror
Primo Capitolo
Quel pomeriggio mi trovavo in casa senza niente da fare.
Tentai di cercare qualcosa di interessante sui vari canali della televisione, ma dopo vari tentativi non trovai niente che attirasse la mia attenzione.
Così, spinto dall’impulso di reagire a quello stato di noia che stava invadendo la mia giornata, pensai di uscire di casa e recarmi al supermercato che si trovava solo a pochi isolati.
Mi alzai di scatto dal divano, presi la giacca e mi fiondai fuori dal mio appartamento, dirigendomi in strada, dove altre persone stavano passeggiando.
Arrivato al supermercato, presi un carrello e mi avventurai al suo interno, passando tra scaffali ricolmi di prodotti chiusi nelle loro confezioni colorate e commessi impegnati nel rifornirli, coi loro grembiuli bianchi e un banale cappellino di stoffa in testa.
Quando entravo in quei posti e vedevo tutti quei prodotti, mi soffermavo a chiedermi se davvero ne avessimo bisogno, pensando a quanti sarebbero stati gettati nella spazzatura perché rimasti invenduti o troppo vicini alla data di scadenza da lasciarli in bella vista.
Eppure, erano lì a riempire quegli scaffali, come quelle persone che prendevano le confezioni, ne ammiravano i colori e le scritte, per poi riporle nei loro carrelli.
E poi c’erano quelli come me, che si limitavano a prendere l’essenziale, senza cedere alla tentazione di provare altro.
Dopo quasi un’ora trascorsa a gironzolare tra quegli scaffali senza trovare niente di particolare, pensai di cercare qualcosa di diverso dal solito.
Qualcosa che avrei potuto preparare per cena, tanto per dare un significato a quella mia visita che non stava dando i risultati sperati, visto che mi trovavo più annoiato di prima.
Così, guardai intorno a me per evitare di scontrarmi con altri clienti e voltai il carrello per recarmi al reparto dei surgelati.
Raggiunsi il reparto dei surgelati ed iniziai ad esplorare quei frigoriferi che si estendevano davanti a me, cercando di trovare qualcosa di particolare tra i vari prodotti esposti, quando la vibrazione del telefono mi distrasse dalla mia osservazione accurata.
Presi il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni con una mano, lasciando l’altra sull’impugnatura del carrello che, per mia distrazione, occupava gran parte del passaggio, non permettendo agli altri di passare.
A malapena riuscii a vedere il nome dell’applicazione che aveva ricevuto quella notifica, poiché una donna, innervosita da come avevo lasciato il carrello, fece sentire la sua voce.
«I giovani d’oggi… sempre con quei cosi in mano… maleducati!» mi intimò contro.
Udite quelle parole, non prestai molta attenzione a quella donna.
Senza distogliere lo sguardo dal display del telefono, lasciai l’impugnatura del carrello per farle segno con la mano di passare altrove.
Quel mio gesto servì a poco.
Quella donna voleva a tutti i costi passare di lì, con o senza il mio consenso.
«Giovanotto… ma come si permette… sposti quel carrello e mi faccia passare!» esclamò incrementando il tono della voce.
Quello fu il suo tentativo di attirare l’attenzione degli altri clienti, che a malapena si voltarono verso di lei, e di quei commessi che erano troppo indaffarati con il loro lavoro per preoccuparsi di una donna isterica.
Sollevai lo sguardo dal display del telefono per guardarla negli occhi.
Quella donna, devo ammetterlo, aveva pienamente ragione.
Avrei dovuto prestare più attenzione quando presi il telefono dalla tasca ed evitare di ostruire il passaggio.
Però usò quei modi così aggressivi nei miei confronti che non mi invitarono a scusarmi per darle soddisfazione.
«Senta… se non riesce a passare, nessuno le proibisce di tornare indietro e fare il giro intorno a quegli scaffali» le dissi con calma, guardandola bene in faccia.
La donna rimase in silenzio per diversi secondi, guardandomi con aria confusa.
Sembrava che non si aspettasse che le rispondessi a tono proprio come feci.
Rimase immobile alcuni istanti, si guardò intorno in cerca di qualche sostenitore, poi decise di abbandonare la sfida e seguire il mio consiglio.
Girò il carrello di scatto e se ne andò nella direzione che le avevo suggerito.
«Insolente! Sono più importanti quei cosi che il rispetto per le persone!» le sentii dire mentre si allontanava.
«Occhio per occhio… arroganza per arroganza» borbottai, ammirando la mia vittoria.
Quando la donna scomparve tra gli scaffali, riportai l’attenzione al mio telefono dopo aver sistemato il carrello, allineandolo al frigorifero che si trovava al mio fianco.
Accesi il display del telefono e, con il pollice, abbassai la tendina per visualizzare la barra delle notifiche e vedere cosa stava richiamando la mia attenzione.
Scoprii che era l’applicazione agente per le emergenze del Reparto.
La osservai per alcuni istanti, poi, dopo aver sfiorato il display con il pollice, lanciai l’applicazione per poter leggere il testo della notifica ricevuta.
“A tutti gli agenti. Raggiungere il punto di ritrovo assegnato al più presto possibile. Non è un’esercitazione. Confermare con l’impronta digitale la ricezione del messaggio.”
Lessi nuovamente il messaggio, poi appoggiai il dito sul sensore per il riconoscimento dell’impronta digitale, confermando così l’avvenuta ricezione.
Pochi istanti dopo, comparve il messaggio “Confermato” e lo sfondo cambiò di colore, da arancione a verde.
Dopo diverse settimane di silenzio, il Reparto stava richiamando gli agenti.
Ne fui abbastanza piuttosto sorpreso, dato che non ero a conoscenza di fatti preoccupanti avvenuti nel mondo nelle ultime settimane.
Anzi, ero piuttosto sicuro di non aver sentito nulla di insolito ai notiziari.
Comunque, avevo confermato la chiamata e dovevo presentarmi a fare rapporto.
Avrei scoperto al punto di ritrovo cosa stava accadendo.
Riportai il carrello al suo posto, poco fuori dall’entrata del supermercato, e mi incamminai verso casa, dove avrei preso la mia auto per recarmi a destinazione.
Il punto di ritrovo che mi era stato assegnato si trovava poco fuori città, a circa una trentina di chilometri verso nord, tra le foreste secolari che si estendevano fino a raggiungere una catena montuosa.
Come tutta la faccenda del Reparto, anche i vari punti di ritrovo, dislocati un po’ ovunque, erano ben nascosti agli occhi dei comuni cittadini.
Solitamente venivano allestiti tra i boschi oppure in vecchi edifici abbandonati, lontani da occhi indiscreti.
Raggiunto il mio appartamento, presi le chiavi della macchina che tenevo sul mobile vicino alla porta d’ingresso, poi tornai in strada e mi incamminai verso l’auto.
Salito a bordo, avviai il motore dopo aver indossato la cintura di sicurezza ed entrai in strada dirigendomi verso nord, dove avrei intrapreso la statale che portava alla foresta.
***** Sarah *****
Appena rientrai a casa, il mio unico pensiero era quello di tuffarmi nella vasca e concedermi un bagno caldo.
Chiusi la porta dietro di me e lasciai le chiavi sul mobile vicino all’ingresso.
Senza curarmi della posta che si trovava a terra, mi fiondai in bagno dopo aver lasciato la borsa sul pavimento vicino alla porta.
Presi il telefono dal suo interno per appoggiarlo sulla sedia vicino alla vasca, pronto nel caso in cui qualcuno mi avesse chiamato.
Mi tolsi gli stivaletti e mi avvicinai alla vasca.
Azionai il rubinetto dell’acqua calda, poi rivolsi lo sguardo verso i barattoli contenenti sali da bagno.
Ne avevo diversi tipi, uno per ogni occasione.
Presi quello alle arance dolci, che donava un completo stato di rilassamento lasciando la mia pelle morbida e profumata.
Afferrai una manciata di quei sali e li gettai nell’acqua.
Tolsi con calma pantaloni e camicia per appoggiarli, dopo averli ripiegati con cura, sopra la sedia lì vicino, poi voltai lo sguardo verso la vasca, dove l’acqua aveva già riempito più della metà della sua altezza.
Chiusi il rubinetto e passai la mano sull’acqua per scoprire che era alla temperatura giusta.
Tolsi slip e reggiseno, ansiosa di immergermi dentro quella vasca.
Mi appoggiai con la mano alla parete, sollevai la gamba e la immersi nell’acqua, assaporando già l’effetto rilassante che stava emanando.
Entrai completamente nella vasca e mi misi a sedere andando poi ad appoggiare la testa sul bordo e immergermi fino a raggiungere col naso il pelo dell’acqua.
Chiusi gli occhi per assaporare al meglio quella piacevole sensazione.
«Questa sì che è vita» borbottai sottovoce.
Dopo alcuni minuti, quando stavo per godere appieno dell’effetto di quel bagno, sentii il telefono vibrare.
Aprii gli occhi e rivolsi lo sguardo verso l’apparecchio.
Lo guardai chiedendomi perché qualcuno stesse disturbandomi proprio in quel momento.
Avrei voluto ignorarlo e continuare a godermi quel bagno caldo, ma la coscienza spinse la mia mano verso di lui e lo afferrai.
Portai il telefono davanti ai miei occhi e vidi il messaggio del Reparto che richiamava tutti gli agenti disponibili.
«Proprio adesso» borbottai infastidita, mentre avvicinavo il dito al sensore dell’impronta digitale per confermare la ricezione del messaggio.
Appoggiai nuovamente il telefono sulla sedia dove l'avevo preso e mi feci forza per sollevarmi a malincuore dalla vasca.
Il Reparto ci stava chiamando e, una volta confermata la ricezione del messaggio, non c’erano scuse: dovevamo partire e ritrovarci al punto di ritrovo.
Alzatami in piedi, presi l’asciugamano e lo avvolsi intorno al mio corpo.
Uscii dalla vasca e iniziai ad asciugarmi con cura, passando quell’asciugamano su tutto il corpo, quando infine indossai i miei vesti per lasciare il bagno dirigendomi verso la porta.
Presi le chiavi di casa e afferrai la maniglia per aprire la porta, quando decisi di chiamare Michael per sapere se sapeva qualcosa riguardo a quella chiamata.
Presi quindi il telefono dalla borsa, aprii la rubrica e cercai il suo nome.
Una volta trovato ciò che stavo cercando, avviai la chiamata mentre aprivo la porta per uscire.
***** Michael *****
Immerso sulla statale nord, procedevo per la mia strada senza troppa fretta.
Quando guidavo, ero solito mantenermi leggermente sotto il limite di velocità per evitare problemi con la polizia stradale.
Proseguivo quindi lungo quella strada prestando attenzioni ai pochi veicoli che la stavo percorrendo, intanto che lanciavo occhiate verso gli alberi che sorgevano ai suoi lati.
Proseguivo indisturbato, senza pensare a niente, quando il telefono iniziò a squillare.
Voltai lo sguardo verso il monitor dell’autoradio e vidi visualizzato il nome di Sarah, che mi stava chiamando.
«Pronto Sarah» risposi dopo aver avviato la chiamata tramite il vivavoce.
«Ciao Mike… stai andando al punto di ritrovo?» domandò la donna.
«Certo! Sarò lì tra una ventina di minuti!» risposi alla donna.
«Sto uscendo di casa proprio ora!» disse, mentre sentivo il rumore di una porta che si chiudeva.
«Conosci il motivo della chiamata? Di solito comunicano anche il motivo, ma questa volta hanno solo detto che non si tratta di un’esercitazione» aggiunse intanto che sentivo un rumore di passi che l’accompagnavano.
«Mi dispiace, ma al momento non ne so nulla. Ho letto il messaggio e l’ho confermato. Poi mi sono messo subito in viaggio» risposi.
«Capito. Una volta arrivati scopriremo qualcosa. Faremo squadra anche stavolta?» chiese.
«Con Frank, Ellen e Simon? Dimmi di sì… siamo una squadra affiatata!»
«La solita squadra… non temere… ma non credo che Simon si unirà a noi» risposi.
«Come sarebbe? Non possiamo andare in missione senza di lui. Cosa gli è successo?» rispose la donna allarmata.
«Mi dispiace… non ho voglia di parlarne adesso, mentre sto guidando. Ma ne parleremo appena ci vedremo di persona» le risposi.
A quelle parole Sarah non disse niente.
Neanche io aggiunsi altro.
Probabilmente aveva intuito che fosse accaduto qualcosa di grave al nostro amico.
Ovviamente avrei potuto dirle qualcosa di più, ma non erano argomenti da affrontare al telefono, almeno non ero io a farlo.
«Va bene Sarah» ruppi il silenzio.
«Ci vediamo al punto di ritrovo. A presto» feci prima di chiudere il telefono senza aspettare una sua risposta.
Purtroppo per Simon, uno dei primi agenti che avevo conosciuto quando fui ingaggiato dal Reparto, l’ultima missione si rivelò fatale.
Ci trovavamo in Afghanistan qualche settimana prima.
Ci fu assegnata una normale missione di routine, in cui non era previsto nessuno scontro a fuoco, in supporto ai servizi segreti operanti nella zona.
Lo scopo era avvicinarci a una roccaforte jihadista, scattare delle foto e tornare al campo base.
Niente di più semplice, per farla breve.
Giunti sul posto, scattammo tutte le foto necessarie per completare la missione.
Al termine del lavoro, prendemmo la via del ritorno nascondendoci tra le dune, ma dovemmo cambiare percorso perché trovammo attività nemica e non avevamo intenzione di cadere in uno scontro a fuoco.
Mentre percorrevamo quel tragitto alternativo, Simon appoggiò il piede proprio sopra una mina antiuomo, tranquillamente nascosta sotto la sabbia del deserto.
L’esplosione di quella mina fece a pezzi il suo corpo.
Morì tra le mie braccia mentre tentavo invano di tranquillizzarlo, mentre gli altri agenti che erano con noi lo riempivano di morfina per alleviare le sue sofferenze.
Proseguii a guidare cercando di non ripensare ancora a quella storia, e a quella dolorosa perdita, che faceva ancora male.
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