Michele Scalini
L'ascesa della prescelta
L'ascesa della prescelta
Trama:
A bordo dell’astronave Cristoforo, il capitano Nathan Gray e sua moglie Sonya guidano una spedizione scientifica verso il misterioso sistema solare situato intorno alla stella Mintaka.
Anni prima, sonde esploratrici avevano rilevato strutture rocciose insolite su un pianeta remoto, suscitando il sospetto di tracce di civiltà extraterrestri.
Una volta arrivati, la dottoressa Laura Parker, a capo del team scientifico, scopre imponenti rovine simili a templi, con iscrizioni che richiamano antiche lingue, come quelle sumere ed egizie.
Le indagini rivelano che l'area era un luogo sacro dedicato all'iniziazione dei giovani guerrieri, destinati a confrontarsi con un avversario leggendario per dimostrare il proprio coraggio e onore.
Ma quando uno dei geologi si ferisce e il suo sangue scivola sul terreno, il guerriero supremo, l'entità leggendaria, viene risvegliato.
Dopo un attacco devastante che annienta gran parte della spedizione, il capitano Gray e sua moglie devono trovare il modo per affrontare questa terribile minaccia o fuggire prima che il pianeta diventi la loro tomba.
Dettagli prodotto:
Editore: Independently published
Pubblicato il: 10 Gennaio 2025
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 396 pagine
ISBN: 979-8306569499
Genere: Fantascienza, Avventura, Mistero
Primo Capitolo
L’astronave solcava indisturbata le profondità del cosmo, diretta verso la nostra destinazione: un piccolo pianeta situato nella fascia abitabile della stella Mintaka, parte della costellazione di Orione, noto come Mintaka-A.
Alcuni anni prima, sonde esplorative erano state inviate a studiare quel sistema solare, alla ricerca di giacimenti minerari o possibili forme di vita.
Dopo aver sorvolato i pochi pianeti intrappolati nel campo gravitazionale della stella, che li teneva in orbita, le sonde rilevarono diverse anomalie sulla superficie di uno di essi, quello con condizioni più simili alla Terra.
Le informazioni inviate al controllo missione fecero immediatamente scattare gli allarmi: gli scienziati compresero subito l’importanza di quei dati.
Gli scienziati si misero a studiare a fondo quelle anomalie, scoprendo che si trattava di strutture di natura apparentemente artificiale.
Questa rivelazione li portò a ipotizzare che, in un passato remoto, una civiltà avesse abitato quel pianeta lontano.
La compagnia per cui avevo iniziato a lavorare, dopo aver lasciato l’aviazione militare, colse al volo l’opportunità e decise di organizzare una spedizione scientifica per studiare da vicino quelle anomalie.
Sebbene fosse principalmente dedicata alla ricerca mineraria, il Consiglio di amministrazione intuì il potenziale economico della scoperta: il ritrovamento di una civiltà aliena avrebbe potuto fruttare miliardi di crediti.
Inoltre, la scoperta avrebbe accresciuto enormemente la notorietà della compagnia, attirando più fondi e nuovi contratti esplorativi, senza contare la fama che una rivelazione di tale portata avrebbe garantito.
Senza perdere tempo, la compagnia iniziò a selezionare un comandante in grado di guidare la spedizione verso quel luogo inesplorato, insieme al personale che lo avrebbe affiancato.
Tra i numerosi candidati convocati c’ero anch’io e, secondo il selezionatore, risultai il più idoneo a guidare la missione, grazie soprattutto alla mia esperienza militare.
Dopo un lungo confronto con i responsabili, accettai l’incarico, ma non prima di averne discusso con mia moglie Sonya, che, oltre a essere il mio secondo pilota, condivideva con me ogni scelta importante.
Stranamente, lei non accolse con entusiasmo la notizia, nonostante la missione fosse stata stimata durare poco meno di dieci mesi, almeno secondo i calcoli della compagnia.
Alla fine, la convinsi: il compenso era straordinario, e le promisi che, una volta tornati sulla Terra, avremmo lasciato il lavoro e ci saremmo goduti quei soldi, abbandonando per sempre i viaggi interplanetari.
Dopo una lunga discussione, e averle esposto le ragioni per cui unirci a quella spedizione era la scelta giusta, mia moglie accettò il nuovo incarico, a patto che le promettessi di ritirarci per sempre dai viaggi spaziali una volta tornati.
Naturalmente, avevo tutta l’intenzione di mantenere quella promessa, a qualunque costo.
Dopotutto, con il milione di crediti che avremmo guadagnato grazie alla missione, avremmo potuto andare in pensione a quarant’anni.
Chi non avrebbe rispettato una promessa simile?
Tornati sulla Terra, avrei comprato una casa in riva al mare, su una di quelle isole tropicali che avevo sempre sognato, e avrei trascorso il resto della mia vita lì, insieme a lei, mia moglie.
Sarebbe stato tutto perfetto, e non avrei rinunciato a quel sogno per niente al mondo!
Ci trovavamo in viaggio da quattro settimane e, secondo i calcoli, avremmo raggiunto la nostra destinazione entro altre quattro.
Una volta atterrati sulla superficie del pianeta, avremmo guidato una squadra di scienziati ingaggiati dalla compagnia, tra cui archeologi e geologi, fino al sito in cui sorgevano le anomalie che avrebbero dovuto studiare.
Mentre gli scienziati si sarebbero dedicati all’analisi delle scoperte, il mio compito e quello del mio equipaggio sarebbe stato garantire la loro sicurezza.
Fortunatamente, le sonde non avevano rilevato tracce di forme di vita animale, a eccezion fatta per una rigogliosa vegetazione, responsabile di un’atmosfera sorprendentemente simile a quella terrestre.
Non prevedendo intoppi una volta scesi sulla superficie, anzi, consideravo quella missione una sorta di vacanza per il mio equipaggio, seppur decisamente ben pagata.
Oltre a mia moglie, viaggiavano con noi altre sei persone, da me personalmente selezionate per formare il resto dell’equipaggio.
Li avevo scelti con cura: alcuni avevano un addestramento militare, come il sottoscritto, un elemento che ritenevo utile nel caso qualcosa fosse andato storto.
Gli altri erano esperti di viaggi spaziali e sapevano come prendersi cura della nostra astronave, la Cristoforo.
Tra loro c’erano due ex militari: Jackson Moore, a cui assegnai la gestione delle armi, e Frank Prosinski, esperto nell’affrontare ambienti ostili come boscaglie o terreni difficili.
Sul ponte di comando, insieme a me e a Sonya, c’era Claire Brown, una testa calda con cui avevo volato durante il mio periodo trascorso nell’aeronautica militare.
Nonostante il suo carattere impetuoso, possedeva una conoscenza impeccabile della strumentazione di bordo della Cristoforo.
In sala macchine, invece, lavoravano Sarah Spencer e Jonathan Stewart, due meccanici di prim’ordine.
Li avevo scelti non solo per l’eccellente posizione nella graduatoria stilata dalla compagnia, ma anche perché erano letteralmente nati e cresciuti su astronavi simili a quella che pilotavo.
La Cristoforo era il fiore all’occhiello della compagnia, un’astronave che qualsiasi capitano avrebbe considerato un onore comandare.
Progettata con le tecnologie più avanzate, era in grado di affrontare le immense distanze cosmiche viaggiando a velocità superiori a quella della luce, mentre il suo scafo, straordinariamente resistente, era costruito per sopportare l’impatto di qualsiasi detrito spaziale.
Inoltre, a prua era stato montato uno schermo laser di ultima generazione, progettato per proteggere il resto dello scafo da eventuali detriti che avremmo potuto incontrare durante il viaggio.
Qualsiasi comandante avrebbe desiderato comandare una nave simile, e io mi sentivo onorato di ricoprire quel ruolo.
A completare l’equipaggio, avevamo con noi Fred O’Brien, un botanico incaricato della gestione dei sistemi di sopravvivenza della nave.
Lavorava nella serra, situata al livello superiore della nave, dove venivano coltivate le piante destinate a rifornire di ossigeno l’intera astronave.
Con il passare degli anni, le principali compagnie aerospaziali avevano scelto di eliminare i grandi serbatoi di ossigeno, sostituendoli con vegetazione in grado di garantire scorte illimitate in modo da affrontare viaggi sempre più lunghi.
Infine, c'erano gli scienziati che trascorrevano il tempo nella stiva, allestita in modo da consentire loro di condurre i propri studi, con al comando un'archeologa, Laura Parker.
Avevo parlato più volte con quella donna, e sembrava una persona che sapeva esattamente ciò che stava facendo.
In ognuna di quelle occasioni, non aveva mai nascosto il suo entusiasmo di fronte a quella scoperta che, a quanto diceva, avrebbe fornito una risposta definitiva alla domanda che aveva assillato l'umanità per secoli: siamo soli nell'universo?
Da parte mia, nutrivo la speranza che avesse effettivamente trovato qualcosa su quel pianeta, soprattutto per premiare l'entusiasmo che mostrava continuamente.
Anche se non le dissi mai che, durante le numerose spedizioni minerarie svolte attraverso la galassia, non avevo mai incontrato alcuna forma di vita intelligente, né tantomeno trovato resti che potessero suggerire il suo passaggio.
Certo, mi ero imbattuto in animali dalle forme più strane, alcuni anche micidiali, o in vegetazione dai colori incredibili.
Ma civiltà intelligenti, o tracce del loro passaggio, non ne avevo mai viste.
Comunque, quella donna, insieme agli altri scienziati ingaggiati dalla compagnia, rimase tutto il tempo nella stiva ad analizzare le informazioni inviate dalle sonde.
La potevamo incontrare solo durante i pasti, ma raramente conversava con noi, membri dell’equipaggio, poiché preferiva sistemarsi in disparte con il resto della sua squadra per discutere di ciò che stavano studiando.
Avevo da poco finito di cenare e mi trovavo sul ponte di comando, pronto a iniziare il mio turno alla guida della nave.
Mi sistemai sulla mia poltrona e mi godetti il silenzio che regnava intorno a me, mentre le luci della plancia, che avevo davanti, segnalavano lo stato positivo della nave.
Naturalmente, essendo nello spazio aperto, la navigazione era sotto il controllo del computer di bordo, che avrebbe seguito la rotta fino a raggiungere una stella distante circa una settimana di viaggio, dove avrei preso i comandi.
L’idea era di sfruttare il campo gravitazionale di quella stella per generare un effetto fionda, in modo da aumentare la velocità di crociera e risparmiare carburante.
Inoltre, quella manovra ci avrebbe permesso di raggiungere la nostra destinazione con qualche giorno di anticipo sulla tabella di marcia.
Insieme a Sonya, avrei preso i comandi della nave per eseguire la manovra, poiché il computer non sarebbe stato in grado di farlo nel migliore dei modi.
Infatti, ci sarebbero potuti essere imprevisti, come la distanza dalla stella, che avrebbe dovuto rimanere entro certi parametri, e che il computer non sarebbe stato in grado di mantenere.
Ma avevamo ancora tempo per eseguire quella manovra.
Nel frattempo, visto che ci stavamo avvicinando alla stella, insieme a Sonya e Claire avrei svolto delle simulazioni per prepararci a qualsiasi imprevisto e per memorizzare le manovre che avremmo dovuto eseguire durante quella fase.
Mi sistemai sulla poltrona, dopo aver controllato lo stato della navigazione, e rivolsi lo sguardo verso il parabrezza, attraverso il quale avrei potuto osservare il cosmo che si estendeva intorno a noi.
Osservai quello spazio nero, punteggiato da stelle lontane, e le nebulose che ne spezzavano l'oscurità, dipingendola con sfumature di colori che qualsiasi artista sulla Terra avrebbe desiderato imitare.
Persi lo sguardo tra quelle meraviglie cosmiche quando, improvvisamente, sentii qualcuno entrare nel ponte di comando, interrompendo quel momento di quiete che stavo assaporando.
Ruotai la poltrona di qualche grado per rivolgermi verso il ponte di comando, dove trovai Sonya, mia moglie, che mi stava raggiungendo.
«Allora, Mike? Come procede la navigazione?» chiese sorridendo, mentre si appoggiava al bracciolo della sua poltrona da secondo pilota.
Prima di risponderle, per aggiornarla sullo stato della navigazione, mi concessi alcuni istanti che avrei voluto non finissero mai.
Sprofondai il mio sguardo nei suoi occhi nocciola, circondati da quei capelli lisci e leggermente ramati che adoravo da quando l'avevo sposata.
Naturalmente, lei, che mi conosceva più che bene, si accorse subito di cosa stavo facendo e rimase in attesa della mia risposta, mantenendo il suo splendido sorriso e lo sguardo fisso su di me.
«Non riesci proprio a farne a meno» disse d’un tratto, interrompendo quel momento in cui stavo ammirando la sua bellezza.
«Per fare cosa?» chiesi, fingendo di non sapere a cosa stesse alludendo.
«Lo sai bene… avanti, ti ho fatto una domanda» replicò lei, con un’aria spazientita, ma mantenendo quel sorriso compiaciuto che le appariva ogni volta che la guardavo in quel modo.
«Niente da segnalare, il viaggio procede tranquillamente… tra una settimana raggiungeremo quella stella» dissi, indicando verso il parabrezza.
«Poi eseguiremo quella manovra di cui ti avevo parlato per accelerare la nave… secondo i miei calcoli, arriveremo a destinazione con diversi giorni di anticipo» aggiunsi, dopo che lei volse lo sguardo verso il parabrezza della nave.
«Bene… allora direi che domani potremo iniziare a fare qualche simulazione» rispose lei, tornando lo sguardo verso di me.
«Non conosco ancora bene questa nave… voglio essere sicura che si comporti come dovrebbe» aggiunse.
«Faremo le simulazioni… era già in programma» risposi, cercando di rassicurarla sulla questione.
«Ottimo… ti lascio al tuo turno… ci vediamo domani mattina in cabina» disse poco dopo, indicando con il pollice la porta che dava sull'uscita dal ponte di comando.
«Sogni d’oro» le risposi, mentre la guardavo allontanarsi dal ponte, sorridendo alla vista di quella splendida donna che mi faceva sentire ogni giorno fortunato per averla sposata.
Rimasto solo, rivolsi di nuovo lo sguardo verso la plancia dei comandi e mi preparai ad affrontare quel turno di sei ore, fino a quando Claire sarebbe venuta a sostituirmi, permettendomi di concedermi qualche ora di riposo.
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