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Primo Capitolo
Michael Fleming
Quando ero un ragazzino, nelle sere d’estate, uscivo in tarda notte insieme a mio padre per andare ad ammirare le stelle che brillavano nel firmamento.
In quei momenti, il mio sguardo si perdeva tra quei brillamenti, mentre la mente sognava di viaggiare tra di loro.
Nel frattempo, mio padre rimaneva sdraiato sull’erba di fianco a me, senza proferire parola, lasciando che la mia mente e i miei sogni si perdessero nel cielo stellato.
Quanto a me, oltre ad osservare le stelle, mi deliziavo nell’ascoltare il suo respiro, chiedendomi se anche lui lasciasse che la mente si trasportasse tra quelle luci che brillavano in cielo.
Diversi anni dopo aver abbandonato il mio villaggio natale, mi ritrovai nella capitale di Europa, una delle lune del pianeta Giove, il mondo in cui ero nato e avevo vissuto, nei pressi del porto spaziale che sorgeva nella prateria poco fuori dalla città.
In quel luogo ebbi l’opportunità di trovare lavoro a bordo di diverse astronavi commerciali.
Certo, non era un lavoro da farmi strappare i capelli, ma mi permetteva di guadagnare bene, quando riuscivo a farmi pagare, per non parlare poi del fatto che mi consentiva di viaggiare tra le stelle, come sognavo di fare sin da bambino.
Infatti, quelle astronavi viaggiavano attraverso i pianeti periferici, dedicandosi al trasporto di merci tra le varie lune e, in alcuni casi, anche al trasporto di passeggeri.
Comunque, quel genere di lavoro mi calzava a pennello e non mi dispiaceva affatto, a parte qualche piccolo problema in cui incappavo ogni volta che mi imbarcavo su una di quelle navi.
E quel problema mi seguiva ovunque, in ogni porto spaziale che frequentavo, a bordo di ogni astronave che mi accoglieva.
Il comandante di quell'astronave, su cui mi ero imbarcato alcune settimane prima su Ganimede, mi aveva confinato nel mio alloggio ormai da alcune ore, come se fossi un detenuto di un carcere governativo.
Uno dei suoi uomini mi accompagnò attraverso il ponte che conduceva agli alloggi dei passeggeri e mi spinse al suo interno con una spinta che non avrei mai potuto dimenticare.
Chiusa la porta con forza, andai a sedermi sulla mia branda.
Appoggiai i gomiti sopra le ginocchia e rivolsi lo sguardo verso il pavimento, mentre quell’uomo bloccava la serratura della chiave dall’esterno.
Rimasi seduto per tutto il tempo, ripensando a cosa avessi combinato quella volta di così drammatico da meritare quella punizione.
“Recluso nel mio alloggio, con la porta bloccata come fossi in un carcere di massima sicurezza!” pensai mentre fissavo quel pavimento di metallo che si trovava sotto ai miei piedi.
Non riuscivo a capire perché avessero fatto una tragedia simile!
In fin dei conti, avevo solamente disobbedito ad alcuni ordini diretti, ricevuti dal comandante in persona!
E comunque, non era neanche la prima volta che accadeva!
Potevo accettare il fatto che quella fosse la sua nave, e di certo non avrei mai discusso su quel punto, però non potevo di certo sottostare a certi ordini che non avevano alcun senso.
L’ordine a cui avevo disobbedito era quello di andare a lavorare nella sala macchine, quando il comandante sapeva benissimo che non ero un meccanico.
Come sapeva più che bene che non avevo alcuna conoscenza di quei sistemi che si trovavano là sotto.
Eppure mio padre, quando presi la decisione di viaggiare attraverso il sistema solare a bordo di quelle navi commerciali, mi disse chiaramente che non sarei durato a lungo e che non avrei avuto vita facile.
Non me lo disse perché non fossi adatto ai viaggi troppo lontani da casa e attraverso lo spazio aperto, ma per il mio carattere, il quale difficilmente si adattava a prendere ordini e difficilmente si piegava all’autorità.
A riguardo avrei anche avuto ben poco da dire, considerando che fu proprio mio padre a dirmi che non dovevo farmi mettere i piedi in testa da nessuno.
Fu lui stesso a dirmi che il mio cuore era libero e che avrei dovuto ascoltarlo in ogni situazione che avrei affrontato durante la mia vita.
Ed io mi limitai ad ascoltare le sue parole, prendendole forse troppo sul serio.
Magari, pensai, avrei dovuto dare un tantino meno peso a quelle parole, soprattutto quando mi trovavo a bordo di una nave che non era la mia.
Comunque, ormai la situazione era quella e non avrei potuto fare molto per cambiarla.
Viste le circostanze, si trattava solamente di aspettare che il comandante si calmasse e mi permettesse di tornare alle mie attività senza tante storie.
D’un tratto, mentre mi tenevo impegnato con quelle riflessioni, alcuni rumori metallici provenienti dall’esterno mi fecero intuire che eravamo atterrati da qualche parte, probabilmente sul porto spaziale di Io, cioè la destinazione finale di quel viaggio.
Pochi minuti dopo aver sentito i motori diminuire di potenza fino a spegnersi del tutto, sentii la serratura della porta del mio alloggio venire sbloccata dall’esterno.
Voltai lo sguardo verso quella porta, che stava venendo aperta dall’esterno, quando apparve di fronte ai miei occhi la sagoma dell’ufficiale in seconda, il più fedele al comandante.
«Muoviti, Fleming! Il comandante ha chiesto di te!» mi urlò contro quell’uomo.
A quelle parole mi alzai dalla branda di scatto e presi la giacca che si trovava di fianco a me.
Dopo averla indossata con tutta la calma del mondo, rivolsi lo sguardo verso di lui, che era rimasto a fissarmi con quello sguardo da duro che non mi avrebbe intimorito neanche pagandomi o puntandomi contro una pistola.
«Andiamo» dissi sorridendo, intanto che mi avvicinavo a lui con la stessa calma usata per indossare quella gente.
In seguito, lo seguii lungo il corridoio che collegava gli alloggi del personale con quello del comandante stesso.
Camminai dietro quell’uomo, che mi lanciava continue occhiate per assicurarsi che lo stessi seguendo, fino a raggiungere la porta dell’alloggio del comandante.
Il mio accompagnatore bussò delicatamente alla porta e attese che l’uomo dall’altra parte venisse ad aprirci, cosa che fece pochi istanti dopo.
Aperta la porta, il comandante si mostrò a noi.
Dapprima lanciò un’occhiata al suo ufficiale e lo guardò negli occhi mostrandogli un briciolo di ammirazione, ma senza sbilanciarsi troppo.
In seguito, voltò lo sguardo verso di me, guardarmi dal basso verso l’alto con un certo disprezzo.
Mi fissò in silenzio, fino a quando decise di invitarmi ad entrare, spostandosi di lato in modo da permettermi di accedere al suo alloggio.
«Fleming! Ho deciso di sorvolare su quanto accaduto quando eravamo in volo… anzi, temo di essere stato troppo severo con te!» fece il comandante con tono accomodante dopo essersi seduto alla sua scrivania.
«Ti ho fatto chiamare perché ho intenzione di affidarti un altro lavoro» fece dopo aver incrociato le dita per appoggiarle sopra la sua scrivania.
«Grazie, comandante! Sono d’accordo con lei… perché litigare per delle banalità?» risposi alle sue parole.
«Di cosa si tratta, questo lavoro che intende affidarmi, intendo dire?» domandai in seguito.
«Niente di complicato, nemmeno per un povero bastardo come te» disse mentre si alzava dalla poltrona su cui sedeva.
A quelle parole, che non mi sorpresero affatto, sollevai le sopracciglia e seguii con lo sguardo il comandante che si era avvicinato ad uno scaffale dove erano accatastati alcuni pacchi.
«Devi consegnare questo pacco ad una locanda del posto» riprese il discorso dopo aver afferrato uno di quei pacchi con entrambe le mani.
«Come ti ho appena detto, niente di complicato» aggiunse accennando ad un sorriso che non mi piacque affatto.
Sorrisi alle sue parole e mi avvicinai a lui per afferrare il pacco che mi stava porgendo.
Appena preso tra le mani, notai che su di esso era scritto l’indirizzo a cui dovevo portarlo, evitandomi di chiederlo al comandante stesso.
«Ora vai! E vedi di non commettere errori!» fece il comandante indicando la porta dietro di me.
«Almeno questa volta» lo sentii borbottare dopo aver chinato leggermente il capo in avanti.
Non aggiunsi niente alle parole del comandante e lasciai il suo ufficio per dirigermi verso l’uscita della nave, dove gli altri uomini dell’equipaggio si stavano dando da fare per scaricare le casse che avevamo trasportato su quella luna.
Lasciata la nave, mi incamminai attraverso quel porto spaziale con il pacco in mano, ripensando alle parole del comandante quando mi disse che non dovevo commettere errori.
Per alcuni istanti mi chiesi a cosa si stesse riferendo, ma poi pensai che avrei dovuto sorvolare su quella sua provocazione e portare a termine quell’incarico.
Così, continuai a camminare senza farmi tanti problemi, dirigendomi verso la città che sorgeva oltre i confini di quel porto spaziale.