Michele Scalini
Lo chiamavano mina vagante
Lo chiamavano mina vagante
Trama:
In seguito alla cattura e all’arresto per l'accusa di diserzione, il capitano Tyler Drake, noto con il soprannome di "Mina Vagante", viene spedito in un carcere di massima sicurezza costruito sul sistema solare di Proxima Centauri.
Qui, in un villaggio di detenuti, si riunisce con l’amica e compagna d’armi, il sergente Keira Davies, anche lei catturata con l’accusa di diserzione.
Insieme, tramano un audace piano di evasione che li porterà sul sistema di Alpha Centauri, grazie all’intervento di un loro amico.
Una volta atterrati su quel pianeta, i due incontrano il generale Mathews, l'artefice della loro diserzione, che incarica Drake di indagare su misteriose anomalie riscontrate su vari campi di battaglia sparsi tra mondi lontani.
Tuttavia, l'inaspettata uccisione del generale da parte di un misterioso cecchino rischia di compromettere l’incarico assegnato ai due.
Tyler e Keira si trovano a muoversi attraverso diversi mondi, guardandosi le spalle dai soldati che li stanno cercando, per scoprire chi si cela dietro la morte del generale e quale oscuro complotto minacci le operazioni militari in corso.
Dettagli Prodotto:
Editore: Independently published
Data pubblicazione: 31 ottobre 2024
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 404 pagine
ISBN: 979-979-8345106563
Genere: Fantascienza, Avventura, Thriller, Crimine
Primo Capitolo
Avevo sempre pensato che il risveglio mattutino donatomi dalla mia ex moglie fosse il più traumatico che avessi mai vissuto in tutta la mia vita.
Almeno fino a quel dannato giorno che stavo per affrontare!
La donna, per tornare al suo delizioso comportamento che chiunque avrebbe desiderato ricevere dalla propria moglie, era solita sedersi accanto a me sul nostro letto e accarezzarmi dolcemente il viso.
Continuava a far scorrere le sue dita con delicatezza, mentre sentivo il suo sguardo affettuoso rivolto verso di me, iniziando così ad abbandonare il mondo dei sogni.
Inizialmente, mi lasciavo coccolare in quel modo per diversi minuti, tenendo gli occhi chiusi nonostante fossi sveglio, per godere il più possibile di quel dono mattutino.
Quando finalmente aprivo gli occhi, la vedevo sorridermi, con i suoi splendidi occhi azzurri attraverso i quali mi donava tutto il suo amore.
Nel vederla, le rispondevo accennando a un sorriso, mentre pensavo che tutti gli uomini del mondo avrebbero desiderato avere un risveglio simile al mio.
Dentro di me, mi sentivo fortunato per questo.
Ad occhi aperti, rimanevo immobile ad osservare, sorridendo, quella donna con il capo chinato verso la spalla destra e gli occhi lucenti rivolti verso di me, mentre la sua mano scivolava delicatamente sulla pelle del mio viso.
«Buongiorno, tesoro» le dissi una di quelle mattine in cui mi riservava quel piacevole trattamento che qualsiasi uomo avrebbe desiderato ricevere dalla propria donna.
Purtroppo, la magia di quel momento, che avrei voluto non finisse mai, si spezzava non appena lei udiva la mia voce e si accorgeva che ero sveglio.
Rimase con lo sguardo rivolto verso di me mentre ritirava la mano che mi stava accarezzando, abbandonando lentamente quel sorriso con cui mi aveva accolto per assumere un’espressione seria, quasi disgustata.
Sollevò lentamente il braccio e quella mano, che fino a pochi istanti prima mi stava accarezzando, si chiuse in un pugno che sferrò contro la mia mascella.
«Sei un dannato bastardo! Testa di cazzo!» urlò, prima di cominciare a colpirmi con i pugni sul viso e sul petto.
Sollevai di scatto le braccia per cercare di proteggermi il più possibile da quei colpi, mentre la donna urlava contro di me con tutta la rabbia che aveva dentro.
Quel comportamento era iniziato un paio di settimane prima e lei non sembrava fare nulla per evitarlo, nonostante avessi tentato più volte di spiegarle come stavano le cose.
Ma lei non volle sentire ragioni, poiché nella sua mente prevaleva l’idea che si era formata e qualsiasi spiegazione le avessi fornito non sarebbe servita a nulla.
Dal mio punto di vista, sembrava soffrire di psicosi, ma non avevo prove mediche per dimostrarlo; potevo solo fare riferimento al suo modo di comportarsi nei miei confronti e alle reazioni che mostrava quando le parlavo.
Comunque, vista la situazione, abbandonai quei pensieri e continuai a ripararmi dai pugni che piovevano su di me senza sosta, tenendo le braccia piegate davanti al viso mentre ruotavo il corpo a destra e poi a sinistra.
Proseguii a proteggermi fino a quando, stanco di subire quel trattamento che di certo non meritavo, anche se una minima parte di colpa l’avevo, afferrai i suoi polsi e la osservai negli occhi.
«Devi smetterla… ho detto che riuscirò a risolvere la situazione!» le dissi a denti stretti, fissandola negli occhi.
«No! Sei un dannato bastardo! Devi marcire in galera! In galera!» urlò lei, scrollando il capo mentre si agitava per cercare di liberarsi dalla mia presa.
«Smettila! Ti ho detto che sistemerò tutto! Ma ora calmati!» le urlai, cercando di tranquillizzarla, nonostante sapessi che le mie parole non le sarebbero servite a nulla.
Naturalmente, la donna continuò a dimenarsi, agitando le braccia nel tentativo di liberarsi dalla mia presa, mentre continuava a urlarmi contro e, cosa che trovai piuttosto raccapricciante, a sputarmi in faccia.
Stanco del trattamento che mi riservava ogni mattina, avvicinai i suoi polsi per afferrarli con un’unica mano, liberando l’altra.
Senza pensarci troppo, le sferrai uno schiaffo che la fece voltare di lato con violenza, trascinando con sé i suoi lunghi capelli scuri, che le coprirono il volto.
La donna rimase immobile, con lo sguardo rivolto verso il nostro materasso, mentre le lasciavo andare i polsi, vedendo che sembrava essersi calmata.
Appoggiò una mano sulla guancia colpita, senza dire nulla e mantenendo lo sguardo fisso sul letto.
Nonostante mi sentissi dispiaciuto per averla colpita, mi alzai con calma dal letto e mi spostai verso la poltrona dove tenevo appoggiati i miei vestiti, per indossarli senza curarmi troppo di lei.
Infilai i pantaloni con calma, poi la maglia, e mentre stavo allacciando la cintura, mi accorsi che la donna aveva recuperato un barlume di lucidità.
Infatti, notai che si era alzata in piedi e stava posando su di me uno sguardo infuriato.
Dopo aver spostato lentamente i capelli che le coprivano il volto, aiutandosi con la mano, sollevò una gamba per appoggiarla sul letto e salirvi sopra senza mai voltarsi.
Immaginai subito quali fossero le sue intenzioni, dato che aveva tentato qualcosa di simile pochi giorni prima.
Così, continuai a vestirmi lentamente, in attesa che compisse la mossa che stava pensando di fare, preparandomi a reagire per non subirla.
Pochi istanti dopo, iniziò a saltellare sul letto, come se volesse prendere una buona spinta, fino a quando si lanciò contro di me, per cercare di assalirmi con le braccia allargate e uno sguardo macabro rivolto verso di me.
Quando mi accorsi di ciò che stava accadendo, mentre si trovava in volo e si avvicinava sempre di più, indietreggiai leggermente di qualche passo.
Osservai quella povera donna mentre il suo corpo e le sue braccia allargate passavano davanti ai miei occhi, per poi cadere addosso alla poltrona dove avevo appoggiato i miei abiti durante la notte.
Rimasi con lo sguardo fisso su di lei mentre impattava contro lo schienale della poltrona, facendola ribaltare verso il pavimento, dove andò a rotolare, rimanendo distesa e sconfitta.
«Amore, dovrei uscire giusto un paio d’ore… tu riordina la stanza nel frattempo» le dissi mentre indossavo gli scarponi, indicando con la mano la camera da letto e facendo ruotare il dito.
«Non ti disturbare per il caffè, lo prenderò alla tavola calda» aggiunsi in seguito.
La donna non reagì in alcun modo alle mie parole.
Rimase sdraiata sul pavimento, ricoperta solo dall’ennesima sconfitta che le avevo inflitto, e io, non curante di lei, me ne andai da quella casa, deciso a non farvi mai più ritorno.
Naturalmente amavo quella donna; altrimenti non l’avrei sposata, come adoravo quei risvegli che solo lei poteva donarmi.
Ma aveva quel piccolo problema con la gestione della rabbia, e come avrei potuto dire, difficilmente avrei voluto conviverci per il resto della mia vita.
Comunque, quella mattina, quando le cose peggiorarono drasticamente, per non dire che andarono proprio di merda, mi trovavo nella camera puzzolente di un motel malridotto che avevo trovato alcuni giorni prima nella peggiore periferia della mia città.
A svegliarmi non furono le delicate carezze di una donna, ma la sensazione che ci fosse qualcuno nella mia stanza che mi stava osservando con insistenza.
Così, aperti gli occhi, mi sollevai dal materasso e mi misi a sedere sul bordo del letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia mentre rivolgevo lo sguardo verso il pavimento, coperto da un tappeto leggermente impolverato.
«Immagino che lei sia della polizia militare» dissi, rivolgendo la mia attenzione a un uomo con indosso un soprabito beige, un paio di scarpe marroni di pelle e un abito grigio, dall’aspetto piuttosto scadente, che trovai seduto sulla poltrona posta in fondo al letto.
«Esattamente, capitano Drake… sono qui per arrestarla con l’accusa di diserzione» fece quell’uomo.
«Addirittura un’accusa di diserzione! Ma che cazzo!» borbottai, afferrando gli scarponi posti di fianco al letto mentre scrollavo il capo.
Non ero proprio un disertore, o almeno non mi consideravo tale.
Tuttavia, per il comando della fanteria lo ero, e per qualche motivo che ancora ignoravo, la loro parola prevaleva sulla mia, tanto da mandare qualcuno a cercarmi per arrestarmi.
Comunque, non avevo disertato dalla fanteria dello spazio; me ne ero andato un paio d’anni prima per sbrigare delle faccende personali senza dire niente a nessuno.
Purtroppo quel periodo avevo altro da fare, anche se per qualche problema non riuscii a fare tutto ciò che avrei dovuto fare perché ebbi da fare, anche se trovai dell’altro da fare.
Tutto chiaro?
Non potevo farci nulla se quelle faccende si erano prolungate più del previsto e se, nel frattempo, mi ero anche sposato con la donna che mi rovinava la sveglia ogni mattina.
«Contento lei… infilo gli scarponi e sono pronto per andare» dissi annuendo con aria rassegnata, mentre infilavo quegli scarponi ai piedi, tenendo l’orecchio rivolto verso quell’uomo.
Legati i lacci con forza, mi alzai dal letto e mi diressi verso di lui, che si stava alzando a sua volta dalla sua adorata poltrona mentre sistemava il soprabito.
Mi avvicinai a lui con calma, mantenendo lo sguardo sulla sua esile corporatura, mentre pensavo a un modo per liberarmi di quell’agente per tentare la fuga.
«Per il momento, e per rispetto nei confronti della sua eccellente carriera militare… non le metterò le manette… a patto che faccia il bravo» disse quando mi trovai di fronte a lui.
«Ora, se vuole seguirmi, capitano» fece, indicandomi la porta della mia camera.
«Volentieri» risposi sorridendo.
Fu in quel momento, mentre era distratto dai suoi modi gentili, che lo colpii allo stomaco con un pugno, facendolo piegare in avanti.
Non contento di quel trattamento, lo colpii con un altro pugno dietro la schiena, costringendolo a tornare in posizione eretta, per poi dargli un calcio in pieno petto, scaraventandolo verso la parete situata dietro di lui.
Mi avvicinai lentamente a quell’uomo, che se ne stava appoggiato a quella parete con la testa chinata in avanti, mentre sputava sangue sul pavimento.
Vedendolo ancora sveglio, lo colpii al fianco con un pugno e, in seguito, ne sferrai un secondo, mettendolo definitivamente al tappeto colpendolo alla tempia destra.
Lo osservai dall’alto verso il basso, piegando leggermente il capo verso sinistra, mentre lui si trovava inginocchiato sul pavimento sotto di me.
«Immagino che non sei venuto da solo» dissi prima di inginocchiarmi di fronte a lui.
«Quindi, se non ti dispiace, dovrei prendere la tua pistola» dissi, allungando le mani per afferrare l’arma che teneva nella fondina sotto la giacca, insieme a un paio di caricatori.
Osservai quell’arma, che trovai carica, e i caricatori che aveva con sé, mentre quell’uomo rimaneva sconfitto sul pavimento senza tentare di reagire.
Spostai lo sguardo su di lui mentre infilavo la pistola dietro la schiena, sotto la cintura, chiedendomi cosa avrei dovuto farne, quando lo colpii alla tempia con un possente pugno.
L’agente cadde disteso sul pavimento e, dopo averlo scavalcato, mi avvicinai alla finestra che offriva una splendida vista sul parcheggio di quel dannato motel.
Davanti ai miei occhi, trovai un paio di mezzi blindati dei corpi speciali della polizia militare e diversi militari vestiti con divise mimetiche antisommossa, con i loro manganelli neri in mano.
«Cazzo, quanti siete!» borbottai, mentre mi strofinavo il mento con la mano.
Guardai con attenzione quegli uomini che stavano aspettando l’ordine di entrare in azione da parte di quello disteso dietro di me.
Afferrai i caricatori per controllare quante munizioni avessi a disposizione nel caso fossi stato costretto ad affrontare quei militari.
«Nove colpi ciascuno… tre caricatori pieni… ventisette pallottole! Potrebbero bastare! In fondo, non sono così tanti!» borbottai, prima di abbandonare quella finestra e dirigermi verso la porta d’ingresso.
Mentre attraversavo la camera, notai che quell’agente stava cercando di sollevarsi dal pavimento, appoggiando i gomiti su di esso.
Senza preoccuparmi troppo, lo colpii con un calcio in pieno volto, scaraventandolo contro la parete accanto a lui, dove andò a battere la testa.
Quel poveraccio scivolò sul pavimento privo di sensi, e io rimasi ad osservarlo soddisfatto mentre afferravo la giacca di pelle appesa alla parete.
Vestito e pronto per uscire, mi avvicinai alla porta e afferrai la pistola, prima di fiondarmi all’esterno per affrontare quel piccolo esercito che mi stava aspettando là fuori.
Share
