Michele Scalini
L'ultima degli Antichi
L'ultima degli Antichi
Trama:
Il maggiore Emily Sanders è stata selezionata per guidare il progetto Spacewarp One, la prima astronave equipaggiata con motore a curvatura, incaricata di intraprendere il primo storico viaggio verso Proxima Centauri, la stella più vicina al nostro sistema solare.
Dopo aver confermato il corretto funzionamento dell'astronave, Emily si prepara ad effettuare il salto a curvatura verso la sua destinazione.
Tuttavia, durante il salto, una serie di allarmi inaspettati scuote la nave, alimentando la sua preoccupazione.
Giunta a destinazione, un'esplosione improvvisa danneggia gravemente l'astronave, facendola precipitare nell'atmosfera di un pianeta sconosciuto, sorprendentemente simile alla Terra ma avvolto da una fascia di anelli.
Emily, miracolosamente sopravvissuta all'impatto, si ritrova sola, senza alcuna possibilità di comunicare con la Terra.
Con le risorse alimentari in esaurimento, è costretta ad abbandonare il suo accampamento per cercare del cibo.
Durante l'esplorazione, si imbatte nei resti di un'antica città, ora avvolta dalla vegetazione, scoprendo una verità sorprendente che la costringe a rivedere tutto ciò che credeva di sapere sul pianeta in cui è precipitata.
Dettagli Prodotto:
Editore: Independently published
Data pubblicazione: 11 Agosto 2024
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 360 pagine
ISBN: 979-8335597760
Genere: Fantascienza, Avventura, Post-Apocalittico
Primo Capitolo
Nel mondo della fantascienza, sia scritta che cinematografica, la maggior parte degli autori ci aveva stupiti proponendoci astronavi dalle forme più impossibili e dotate di motori a curvatura.
Quel tipo di motore, installato su quelle astronavi, permetteva ai loro equipaggi di percorrere le immense distanze astronomiche in breve tempo.
Mentre quella gente viaggiava con l’immaginazione attraverso il cosmo, portando con sé i loro tanti ammiratori, nei sotterranei delle maggiori agenzie spaziali numerosi scienziati e ingegneri passavano notti insonni nel tentativo di ricreare quella tecnologia nella realtà.
E ci riuscirono!
Riuscirono a farlo!
Nonostante avessero impiegato diversi decenni, accompagnati da tanti fallimenti che non riuscirono a scoraggiarli, i loro sforzi ottennero i risultati sperati.
Grazie al loro impegno e alla loro dedizione, riuscirono a cambiare il modo con cui avremmo affrontato le immense distanze astronomiche.
Riuscirono a ricreare nella realtà un propulsore che permetteva di generare un immenso campo gravitazionale, il quale riusciva a curvare lo spaziotempo, in modo da accorciare le distanze tra i corpi celesti.
Nel frattempo, i migliori ingegneri al mondo riuscirono a creare una lega ultraleggera, ma di notevole robustezza, che avrebbe poi ricoperto lo scafo dell’astronave.
Grazie a quella lega, lo scafo avrebbe resistito all’impatto con il pulviscolo cosmico che, viaggiando a velocità multiple di quella della luce, sarebbe stato pari all’esplosione di svariate testate nucleari.
Dopo vari voli di prova, che effettuai di persona, e centinaia di ore trascorse ai simulatori, arrivò il giorno del collaudo della prima astronave dotata di motore a curvatura.
La prima astronave con quel tipo di tecnologia concepita dall’essere umano.
Quando tutti furono sicuri del suo funzionamento, venne sistemata sotto la luce del Sole nel piazzale della più importante agenzia spaziale del pianeta.
Venne sistemata lì, in modo che tutti avessero la possibilità di ammirare quel successo tecnologico che avrebbe permesso all’umanità di avviare l’esplorazione dello spazio profondo con degli astronauti a bordo.
Le persone più importanti del pianeta, insieme a centinaia di giornalisti, si radunarono in quel piazzale per ammirare quella meravigliosa astronave che brillava sotto la luce del Sole.
Mentre quelle persone, assistite da scienziati e ingegneri, facevano foto e visionavano quel velivolo, io me ne stavo in silenzio negli spogliatoi di quella base.
Lontana da tutti, me ne stavo tranquilla ad indossare la tuta da pilota e a prepararmi ad effettuare il primo volo ufficiale dell’umanità nello spazio profondo.
Lo scopo della missione era quello di verificare prima le funzionalità di quell’astronave e poi raggiungere Proxima Centauri, una stella che si trovava alla distanza di poco più di quattro anni luce dalla Terra.
Ma prima di raggiungere quella stella, avrei effettuato dei voli di prova all’interno del sistema solare, in modo da verificare il corretto funzionamento di quel motore.
Inoltre, se qualcosa non avesse funzionato, qualcuno sarebbe stato in grado di venire a soccorrermi.
«Maggiore Sanders!» fece uno degli addetti della base dopo aver aperto la porta degli spogliatoi.
«Siamo pronti! Possiamo decollare!» fece appena lanciai un’occhiata verso quell’uomo, che mi stava aspettando sull’arco della porta degli spogliatoi tenendola aperta.
Il momento che stavo aspettando era arrivato.
Come era arrivato il momento di vedere se quell’astronave fosse riuscita a portarmi su Proxima Centauri o se fosse esplosa appena avviato il motore a curvatura.
Afferrai il casco della tuta, il quale mi stava aspettando all’interno dell’involucro che lo custodiva, e mi unii a quell’addetto per entrare nel corridoio che mi avrebbe condotto alla mia astronave.
Uscita all’aperto, mi fermai ad ammirare quelle decine di persone che, appena mi videro, caddero in un silenzio spettrale, mentre i fotografi iniziarono ad immortalare quel momento storico che l’intera umanità stava per vivere.
Rimasi immobile di fronte a quella folla, che se ne stava lì ad ammirarmi, e la guardai stupita da quella reazione, quando pensai di sollevare una mano per salutare tutti quanti.
Quel gesto venne accolto da quella gente con un caloroso applauso che interruppe quel silenzio, echeggiando tutto intorno a me.
Quella folla si allontanò formando due gruppi che aprirono un corridoio umano che conduceva fino alla mia astronave, dove gli addetti dell’agenzia spaziale mi stavano aspettando.
Emozionata da quell’accoglienza, mi incamminai con passo deciso tra quella gente, tenendo lo sguardo rivolto verso il mio velivolo.
Arrivata all’astronave, trovai ad aspettarmi anche il direttore dell’agenzia, insieme al capo degli scienziati che avevano realizzato quella meraviglia tecnologica.
«Maggiore Sanders! È pronta per entrare nella storia?» fece il direttore dell’agenzia mentre mi stringeva la mano.
«Sono pronta, signore!» mi limitai a rispondere a quell’uomo.
«Maggiore!» intervenne il capo degli scienziati.
«Effettuerà il primo volo fino a Giove usando il motore a curvatura… poi si avvicinerà al Sole per ricaricare le celle di combustibile… se tutto sarà a posto come risultato dai test… procederà verso Proxima Centauri!» fece per ricordarmi il piano di volo.
«Mettete al fresco della birra per festeggiare il mio rientro!» risposi a quello scienziato prima di salire a bordo della mia astronave, la Spacewarp One.
Fu proprio quello scienziato, il dottor Parker, a spiegarmi il funzionamento del motore a curvatura quando mi affidarono l’incarico di portare in volo quel velivolo.
Incontrai quello scienziato nella base in cui operava, dove mi aveva spedito il generale Anderson, e si fece avanti con delle spiegazioni di fisica che non compresi molto bene all’inizio.
Il motore a curvatura, spiegò nel modo più semplice possibile, generava una notevole quantità di energia grazie ad una reazione controllata tra materia e antimateria, la quale avveniva all’interno del motore stesso.
Quell’energia avrebbe generato una distorsione spaziotemporale attorno alla mia astronave, formando forze contrapposte che avrebbero curvato lo spaziotempo.
Quell’energia avrebbe creato un tunnel di radiazioni che avrebbe permesso all’astronave di viaggiare a velocità di curvatura percorrendo un tragitto inferiore rispetto alla distanza complessiva.
In pratica, spiegò poi un altro scienziato che mi assistette durante la preparazione, il motore a curvatura avrebbe ridotto lo spazio di fronte all’astronave e dilatato quello dietro di essa.
Raggiunsi il ponte di comando, muovendomi tra alcuni ingegneri intenti ad effettuare le ultime verifiche dei sistemi della nave.
Mi accomodai sulla poltrona e, dopo aver allacciato le cinture di sicurezza e indossato il casco, attivai la plancia di comando.
«Qui maggiore Sanders… passo… sono in posizione» feci alla radio per comunicare al controllo missione che avevo attivato i sistemi dell’astronave.
«Qui controllo missione!» rispose una voce alla cuffia.
«Siamo pronti per il decollo… attendiamo verifica da parte sua, maggiore Sanders!» fece in seguito.
«Qui maggiore Sanders!» risposi muovendo lo sguardo attraverso la plancia di comando.
«Sistemi di volo, pronti… circuito idraulico, pronto… circuito elettrico, pronto… sistemi di sopravvivenza… pronti… combustibile… ho il pieno! Posso decollare!» informai l’assistente di volo.
«Non faccia lo spiritoso! Siamo in diretta con tutto il mondo!» rispose alle mie parole il direttore di volo in persona.
«Un minuto al decollo! Si tenga pronto!» ordinò.
Pochi minuti dopo quella conversazione, mi ritrovai in orbita oltre l’atmosfera terrestre, dove preparai la nave per effettuare il primo viaggio a curvatura della storia umana in direzione di Giove, il più grande pianeta del sistema solare.
«Qui Sanders! Pronta ad avviare il motore a curvatura in cinque… quattro… tre… due… uno… attivazione!» annunciai alla radio prima di avviare il motore a curvatura.
Alcuni istanti dopo, sentii il rumore del motore alle mie spalle aumentare per indicarmi che stava per generare la spinta necessaria per avviare la nave a velocità curvatura.
Abbandonai con lo sguardo la plancia di comando per rivolgerlo verso il parabrezza della nave, attraverso il quale potevo vedere il cosmo che si estendeva dinnanzi a me.
In quel momento, mentre il motore generava l’energia necessaria per la curvatura, ebbi la sensazione che tutto fosse immobile intorno a me.
Quella sensazione scomparve quando l’astronave partì alla volta di Giove con una spinta tale da scagliarmi contro lo schienale del sedile con una violenza che non mi sarei aspettata.
Impiegai poco meno di due minuti per raggiungere Giove, che in quel periodo si trovava a circa settecento milioni di chilometri di distanza dalla Terra.
Durante quel breve viaggio, tutto funzionò alla perfezione, a parte qualche vibrazione di troppo che non fu preoccupante.
«Qui Sanders!» dissi alla radio mentre ammiravo quel gigante gassoso che si presentava ai miei occhi in tutta la sua magnificenza.
«Sto ammirando Giove! È bellissimo! Se per voi è tutto in ordine… preparo la nave per raggiungere il Sole» informai.
«Qui controllo missione! Per noi tutto in ordine… proceda verso il Sole per ricaricare i generatori» rispose una voce alla cuffia dopo alcuni secondi di silenzio.
Non risposi nulla a quella comunicazione e mi preparai per effettuare il lancio verso il Sole, dove la mia astronave avrebbe recuperato energia da quella stella, che mi avrebbe permesso poi di raggiungere Proxima Centauri, dove avrei svolto la stessa attività prima di poter tornare a casa.
Essendo tutto in ordine, impostai la rotta per dirigermi verso il Sole ed avviai in seguito il motore a curvatura.
Mi ritrovai pochi minuti dopo a pochi milioni di chilometri dal Sole.
Attivai lo schermo solare per proteggermi dalla luce che inondava il ponte di comando ed eseguii poi la manovra che mi avrebbe condotto in prossimità dell’impetuosa superficie di quella stella, dove avrei ricaricato i generatori.
«Qui Sanders! Sto eseguendo la manovra di avvicinamento al Sole» dissi alla radio.
Data la vicinanza del Sole, che probabilmente disturbava le comunicazioni, ottenni solamente del fruscio di sottofondo come risposta dalla base.
Non me ne preoccupai e continuai a sorvolare la superficie solare come da programma, fino a quando mi accorsi che una spia rossa stava segnalando un surriscaldamento dei sistemi di ricarica.
Prontamente, azionai la cloche per allontanarmi leggermente dall’orbita che stavo tenendo, in modo da ridurre la temperatura dei sistemi.
Quando le celle di combustibile furono piene, mi allontanai a gran velocità dal Sole per prepararmi ad effettuare il primo volo di un’astronave con equipaggio umano a bordo oltre i confini del sistema solare.
«Qui Sanders! Mi sentite?» chiesi alla radio quando mi trovai in prossimità dell’orbita di Mercurio.
«Qui controllo missione… la sentiamo forte e chiaro!»
«Finalmente!» esultai.
«Sono pronta per raggiungere Proxima Centauri… attendo conferma» comunicai alla radio.
«Per noi luce verde! Proceda pure, maggiore, e… in bocca al lupo!» rispose il direttore di volo.
«Rotta impostata… avvio motore a curvatura in cinque… quattro… tre… due… uno… attivazione!» dissi prima di avviare il motore a curvatura.
In seguito a quell’attivazione, l’astronave partì a gran velocità senza alcun problema, proprio come accadde durante il primo volo verso Giove.
Grazie a quel sistema, avrei percorso una distanza di circa quattro anni luce in poco meno di una ventina di minuti, almeno secondo i calcoli di quegli scienziati che avevano studiato ogni minimo dettaglio di quella missione.
L’astronave sfrecciava nel cosmo, tra vibrazioni molto forti e lampi di luce provenienti dall’esterno, mentre io, che avevo tolto le mani dai comandi per lasciare la nave in mano al computer di bordo, stringevo con forza i braccioli del mio sedile e tenevo lo sguardo rivolto verso la plancia della strumentazione.
Il volo procedeva senza alcun problema, mentre io tenevo lo sguardo rivolto verso il parabrezza, attraverso il quale osservavo lo spazio che veniva distorto al mio passaggio, provocando lampi di luce che illuminavano il ponte di comando.
D’un tratto, la mia attenzione venne attirata dall’accensione di una spia rossa posta sulla plancia dei comandi.
Appoggiai lo sguardo su quella spia per cercare di capire a cosa fosse riferita quell’anomalia, quando anche le altre spie di allarme si accesero segnalando altre anomalie.
«Dannazione! Ma cosa sta succedendo?» borbottai mentre muovevo lo sguardo tra le varie spie di segnalazione che lampeggiavano freneticamente.
Con il cuore che batteva all’impazzata, allungai la mano verso il computer di bordo per avviare la diagnostica.
Il risultato non fu dei migliori.
Tutti i sistemi dell’astronave erano in allarme: il circuito idraulico, il sistema di sopravvivenza, il propulsore, perfino l’area adibita agli alloggi dell’equipaggio.
Rimasi immobile e con gli occhi spalancati ad osservare quelle spie che illuminavano di rosso il ponte di comando, mentre quei lampi di luce provenivano dall’esterno.
«Non esplodere… ti prego… non esplodere!» borbottai preoccupata dall’accensione di quelle spie.
Spostai lo sguardo verso lo schermo che visualizzava lo stato della navigazione e vidi che mancava poco per giungere a destinazione.
Strinsi con forza le mani con cui mi aggrappavo ai braccioli della poltrona a cui ero legata, mentre speravo con tutta me stessa che non fosse accaduto qualcosa di irreparabile.
Ad un tratto, il computer di bordo disattivò il motore a curvatura e mi ritrovai davanti agli occhi un pianeta azzurro, con una fascia di anelli che gli girava intorno e con una stella che lo illuminava alle sue spalle.
Vedendo che l’astronave non era esplosa e che ero arrivata a destinazione, allentai la presa sui braccioli del sedile.
«Grazie per non essere esplosa» borbottai.
Appoggiai il capo al poggiatesta, mentre chiudevo gli occhi e cercavo di tranquillizzarmi, nonostante le spie non cessassero di segnalare quella serie di anomalie.
Alcuni istanti dopo, sentii il rumore di un’esplosione provenire da dietro le spalle.
Feci un balzo sulla poltrona con il cuore che mi era saltato in gola.
Mi accorsi che l’esplosione aveva mandato l’astronave fuori assetto di volo, facendomi avvicinare velocemente a quel pianeta.
Attratta dalla gravità di quel corpo celeste, mi ritrovai letteralmente a precipitare nella sua atmosfera, con fiammate che si propagavano all’esterno dello scafo e violente vibrazioni che mi scuotevano.
Prontamente, afferrai la cloche e la leva che regolava la potenza dei motori, per tentare di manovrare quella nave che veniva risucchiata dalla gravità di quel pianeta e scendeva verso la sua superficie a gran velocità.
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