Michele Scalini
L'uomo che visse nello spazio
L'uomo che visse nello spazio
Trama:
La vita ordinaria di Michael viene stravolta da misteriose visioni durante una normale giornata di lavoro.
Determinato nello scoprire la verità, ritorna nei luoghi delle visioni e finisce per ritrovarsi a bordo di un'astronave in viaggio nello spazio profondo, dove incontra alcune creature aliene.
Superata la paura iniziale, viene accolto da quelle creature ed inizia a viaggiare con loro per cercare un modo che lo aiuti a far ritorno sulla Terra.
Durante il suo soggiorno a bordo, esplora mondi alieni, incontra creature straordinarie e si immerge nelle culture che incontra, vivendo avventure che non avrebbe mai immaginato, mentre affronta un profondo conflitto interiore.
Intanto che il viaggio prosegue, Michael si trova ad affrontare una scelta cruciale: rimanere a bordo dell’astronave per iniziare una nuova vita tra le stelle o ritornare alla sua vecchia esistenza sulla Terra.
Ben presto, Michael si troverà ad affrontare la decisione più difficile della sua vita.
Dettagli Prodotto:
Editore: Independently published
Data pubblicazione: 19 Giugno 2024
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 414 pagine
ISBN: 979-8328915205
Genere: Fantascienza, Avventura, Azione
Primo Capitolo
In certe occasioni ci soffermiamo a pensare a quegli eventi che ci hanno condotto a un determinato momento della nostra vita.
E mentre ripensiamo alle nostre scelte, alle persone incontrate che riteniamo possano averci se pur minimamente influenzato, magari non volontariamente, ci chiediamo come sarebbe andata se non avessimo preso certe decisioni o se non avessimo ascoltato quelle persone.
Nonostante quanto detto, nel mio caso specifico non avevo ascoltato nessuno, né tanto meno avevo preso alcuna decisione o, almeno, non lo avevo fatto all’inizio.
Tutto avvenne, diciamo per caso, senza che qualcuno o qualcosa mi avesse proposto una scelta.
Tutto ciò che accadde in un'ordinaria giornata di lavoro e quello che accadde nei giorni a seguire furono eventi dovuti puramente al caso, o almeno era ciò che credevo.
Tuttavia, in parte, fui io stesso, con la mia innata curiosità, a cercare di capire cosa stesse accadendo.
Ricordo che quel giorno era un normale mercoledì mattina.
Mi svegliai presto, come ero solito fare.
Finita la colazione, uscii di casa e presi la macchina per andare a lavorare, come facevo ogni giorno da diversi anni.
Dal cielo mattutino, pensai subito che quella sarebbe stata una splendida giornata di giugno.
Splendida giornata riferita alle condizioni meteo, non a tutto il resto, naturalmente.
Come capitava ogni mattina, arrivai in ufficio circa venti minuti prima dell’orario di inizio delle attività.
Era mia abitudine arrivare così presto, a differenza di altri colleghi che arrivavano sempre puntuali al centesimo di secondo.
Ovviamente non lo facevo per ingraziare i miei superiori, come molti avrebbero pensato, ma per evitare il traffico mattutino e per concedermi una tazza di caffè prima di immergermi nel lavoro.
Finito il mio consueto rituale mattutino, che comprendeva un caffè accompagnato da una sigaretta fumata all’aperto, poco distante dal parcheggio dei dipendenti, entrai nuovamente nell’edificio e mi incamminai, salutando alcuni colleghi, verso la mia postazione di lavoro.
Raggiunta la mia scrivania, accesi il computer, sistemai le mie cose e mi accomodai sulla mia poltrona, che trovavo comoda solamente per la presenza dei braccioli.
Infatti, il sedile e lo schienale non erano molto imbottiti, il che andava bene, ma dopo qualche ora che mi trovavo seduto lì sentivo il bisogno di alzarmi e muovermi.
A volte, nelle mie riflessioni, mi chiedevo se fosse quello il reale motivo per cui sentivo il bisogno di alzarmi dalla mia postazione o se fosse un altro, ma poco importava.
Quando sentivo il bisogno di farlo, cioè di alzarmi in piedi, lo facevo senza pormi troppi problemi.
Sistemato sulla poltrona, e con il computer avviato e pronto all’uso, appoggiai la mano destra al mouse e mossi il puntatore per aprire il programma della posta elettronica aziendale.
Nel frattempo, avviai anche il programma per controllare la posta personale.
Avevo preso da pochi anni l’abitudine di controllare la mia posta personale durante il lavoro.
Nonostante ricevessi solamente posta promozionale contenente prodotti che mai avrei accettato di acquistare, lo facevo per guadagnare più tempo per il dopo lavoro, così da averne di più per dedicarmi ai miei hobby.
Dopo anni di duro lavoro, avevo imparato che il tempo libero non era mai abbastanza e che sentivo il bisogno di ritagliarne sempre il più possibile per goderne a pieno, anche avere un solo minuto in più per me era sufficiente.
Controllai quindi la posta aziendale.
Trovai un paio di comunicazioni da parte di alcuni clienti e una proveniente dal mio capo ufficio, che mi chiedeva una relazione riguardo ad alcune attività che avevo svolto nel mese precedente.
Sapevo di quella relazione e ci stavo lavorando, anzi l’avrei consegnata proprio quel giorno, ma a lui piaceva farmi sentire il suo fiato sul collo; pensava di intimorirmi.
Ma non ci riusciva affatto!
Anzi, in alcune occasioni, come quella che mi trovai a vivere quel giorno, quei suoi modi mi facevano solo sorridere.
Così, cancellai la posta del capo ufficio, senza rispondere al messaggio della conferma di lettura, e andai a leggere la posta dei clienti.
Lessi con attenzione quanto contenuto in quella lettera per accorgermi che non conteneva nulla di importava, come spesso capitava.
Il cliente lamentava malfunzionamenti riguardo ad alcuni prodotti che non erano stati forniti dalla mia azienda e ai quali non potevamo rispondere.
Ricordai di aver più volte suggerito loro di contattare il servizio clienti dei fornitori stessi di quei prodotti, senza interpellare noi, visto che avremmo dovuto comportarci allo stesso modo facendo perdere tempo a noi e, soprattutto, a loro.
Ma certe volte era come parlare al vento e dovevo rassegnarmi all’idea di ricevere quelle lamentele.
Quel giorno, che era iniziato anche piuttosto bene, decisi di non rispondere a nessuno e cancellai definitivamente la posta.
Presi così la relazione e decisi di rileggerla, prima di continuare a scrivere le mie note.
La rilessi con calma e, alla fine, appoggiai le mani sulla tastiera e iniziai a scrivere la parte conclusiva del testo.
Mi ero immerso del tutto in quella stesura che a malapena mi accorsi dei colleghi che erano appena arrivati e stavano prendendo posto intorno a me.
Non diedi molto peso a loro, mi limitai a salutarli con educazione, sollevando le mani senza entrare in inutili conversazioni.
«Hai visto l’email?» mi chiese il mio capo ufficio, che era appena entrato nel mio ufficio senza neanche salutare.
«Sto per finire... avrai la tua relazione per pranzo» risposi senza distogliere lo sguardo dalla tastiera.
Lo sentii sbuffare dietro le mie spalle con soddisfazione, con quel suo modo di fare per farmi intendere che mi aveva in pugno e che poteva fare di me qualsiasi cosa volesse.
Peccato per lui che non era così.
Lavoravo da diversi anni, forse troppi, e avevo raggiunto quella fase in cui non ci si lasciava intimorire da superiori o situazioni difficili; anzi, si affrontava tutto con una scrollata di spalle, senza dar troppo peso a quelle sceneggiate che si potevano tranquillamente evitare.
Prossimo alla fine della stesura di quel testo, spostai l’occhio verso l’orologio in basso a destra del monitor del computer, e vidi che era quasi l’ora di concedermi una pausa caffè.
Rimasi a fissare quell’orologio per alcuni istanti, quando allungai la mano verso il mio telefono e verso il pacchetto di sigarette, decidendo che non era mai troppo tardi per concedersi una pausa.
Così, mi alzai in piedi e lasciai l’ufficio senza dire niente agli altri colleghi, che rimasero a lavorare.
Attraversai il corridoio e mi ritrovai nella stanzina dove era stata alloggiata la macchinetta del caffè.
Collegai il telefono alla macchinetta e scelsi un caffè espresso, che venne preparato all’istante e servito in un odioso bicchiere di carta.
Bevuta la bevanda, lasciai scivolare il bicchiere all’interno del cestino e lasciai lo stanzino per poi attraversare l’officina, dirigendomi verso il punto dedicato ai fumatori, posto al di fuori dell’edificio.
La traversata dell’officina fu accompagnata dallo sguardo di alcuni colleghi e dai saluti da parte di altri, colorati con battute ironiche, che mi facevano sorridere, ma che da sempre trovavo banali e fuori luogo.
Spesso rispondevo a tono senza dilungarmi troppo, mentre altre volte accennavo un timido sorriso per assecondarli, dipendeva dalla giornata.
Uscito dall’edificio, presi il pacchetto di sigarette dalla tasca e, mentre mi incamminavo verso il punto fumo, ne presi una portandola alla bocca.
Stavo per accendere quella sigaretta, quando percepii che qualcosa intorno a me non era come avrebbe dovuto essere.
I soliti rumori che si udivano provenire dall’interno dell’edificio non c’erano più.
Neanche la piazzola asfaltata sotto i miei piedi c’era più, così come non c’erano più le auto parcheggiate, né il piccolo prato che si trovava sul fianco del vialetto.
Osservai con attenzione l’ambiente che mi circondava cercando di capire se stessi sognando oppure se stessi vivendo quell’evento realmente.
Quello era uno spazio stretto e lungo, un corridoio per farla breve, con le pareti bianche che sembravano fatte di metallo.
Allungai lo sguardo verso il fondo del corridoio e d’un tratto vidi delle figure muoversi.
Spaventato da quella visione, feci un passo indietro e tutto scomparve proprio come era comparso.
Ritornarono i soliti rumori, le auto parcheggiate, il vialetto asfaltato e il prato.
Non riuscivo a comprendere quello che stava accadendo, né tanto meno ciò che era accaduto pochi istanti prima.
Mi munii di coraggio e feci un passo avanti per vedere se fosse accaduto qualcosa.
Poi feci un altro passo ancora.
Non ottenendo risultati, tornai al punto di partenza e feci un passo di fianco.
Tentai più volte, in varie direzioni, ma ciò che avevo visto pochi minuti prima non apparve più.
«Hai perso qualcosa?» mi sentii chiedere da dietro le spalle.
Mi voltai di scatto e vidi un collega che stava accendendo una sigaretta, mentre mi osservava incuriosito per il mio comportamento insolito.
Rimasi a fissarlo senza dire niente per alcuni istanti.
«No, niente» risposi tornando indietro con lo sguardo.
«Almeno... credo di non aver perso niente» aggiunsi poi diminuendo il tono della voce.
«Stai bene?» chiese lui avvicinandosi a me.
«Hai uno sguardo strano... insolito» continuò mentre mi guardava con espressione preoccupata.
«Sì, certo che sto bene!» risposi, accendendo la sigaretta che avevo in bocca.
«E tu? Come va il lavoro?» chiesi in seguito cercando di cambiare argomento.
Ero distratto in quel momento e non mi resi conto di avergli fatto quella domanda e, naturalmente, lui colse la palla al balzo e iniziò a parlare senza sosta, travolgendomi completamente.
Mi raccontò tutto del suo lavoro: dalle telefonate coi clienti alle sue attività principali e, purtroppo, anche dei suoi rapporti con il suo superiore.
Da un primo momento mi pentii di avergli fatto quella domanda, ma mentre lui parlava senza sosta, smisi di ascoltarlo e la mia mente mi riportò agli eventi che si erano verificati prima del suo arrivo.
Realizzai che mi trovavo in un corridoio dalle pareti metalliche e leggermente ricurvo.
Il punto in cui avevo visto qualcuno camminare doveva essere una specie di stanza che si allargava alla fine di quel corridoio stesso.
In quel momento era tutto così limpido e chiaro, nonostante non riuscissi a capire come fosse potuto accadere.
«Mi stai ascoltando o stai pensando alle tue cose come al solito?» mi domandò, interrompendo la sua narrazione.
«Certo che ti sto ascoltando!» esclamai dopo esser tornato in me.
«Ora, scusami, devo tornare al mio lavoro» feci indicando la porta d’ingresso della nostra azienda.
Spensi la sigaretta nell’apposito contenitore e me ne andai, lasciandolo solo senza che dicesse altro.
Percorsi il tragitto che mi conduceva alla mia scrivania, ripensando a quella visione.
Era mia intenzione mantenerla limpida in testa, pensando che avrei trovato altri dettagli che mi avrebbero permesso di capire di cosa si fosse trattato.
«Michael! La relazione?» tuonò il mio superiore, che sicuramente mi stava cercando, mentre mi veniva incontro.
«Arriva… arriva» risposi indifferente e disturbato da quei suoi modi da Gestapo.
«Prima che te ne vada! Ti ricordo che la pausa caffè è di dieci minuti, non mezz’ora come fai tu!» disse ad alta voce permettendo a tutti di udire le sue parole.
Come facevo in situazioni simili, non diedi peso alle sue parole e continuai a camminare per poi raggiungere la mia scrivania, anche se sapevo quando gli desse fastidio.
Non capivo perché dovesse sempre ricordarmi le sue stupide regole.
In fondo, ero uno dei pochi a rispettare le sue tempistiche e a dimostrargli una certa fiducia.
Ma in quel momento avevo altro a cui pensare e non gli dedicai neanche uno sguardo, né tanto meno una risposta.
Con quel ricordo ancora fresco nella mia memoria, decisi di scriverlo sul computer per poi inviarlo alla mia posta personale, con l’idea di rileggerlo dopo il lavoro con calma e lontano dai miei colleghi.
Trascorsi il resto della mattinata a compilare quella relazione per il mio superiore.
Non fu affatto semplice lavorarci; la mia mente continuava a tornare a quella visione avvenuta ore prima.
Tentai, quindi, di concentrarmi sul mio lavoro e lo terminai in meno di un’ora.
Senza rileggerlo affatto, lo inviai al mio superiore e chiusi definitivamente quella faccenda, permettendomi di fare ritorno alle mie solite attività.
Giunta l’ora di pranzo, presi le mie cose e lasciai la scrivania per dirigermi verso la mia auto che mi aspettava nel parcheggio.
Uscito dall’edificio, indossai gli occhiali da sole e chiusi con delicatezza il portone dietro le mie spalle.
Mi guardai intorno mentre mi dirigevo alla macchina e vidi altri colleghi che stavano uscendo per andare a pranzo, dirigendosi alle proprie auto.
Li ignorai per evitare di sentire le loro solite battute del caso.
Quando mi trovai a pochi metri dalla macchina, mentre rovistavo nelle tasche dei pantaloni per trovare le chiavi, avvenne di nuovo quella visione.
Senza poterlo spiegare, come era accaduto ore prima, mi ritrovai in un posto completamente diverso da dove avrei dovuto trovarmi.
Era una stanza con pareti metalliche bianche.
Notai un letto sulla mia destra, senza coperte o lenzuola, ma con un solo cuscino di forma cilindrica.
Sulla sinistra c'era una specie di porta senza maniglia con uno strano pannello elettronico illuminato sul fianco della parete.
Allungai lo sguardo verso quel pannello e notai dei caratteri stampati che non avevo mai visto prima.
Cercando di mantenere la calma, presi il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni e scattai una foto del pannello.
Nel frattempo, udii dei rumori provenire dall'esterno di quella porta che sembravano passi di qualcuno che si stava avvicinando.
Spaventato da quei rumori, feci dei passi indietro e mi ritrovai di fronte alla mia auto nel parcheggio dell’azienda.
Mi guardai intorno per qualche istante prima di accendere lo schermo del telefono per guardare quella foto fatta durante quell’esperienza, la quale mi diede conferma che, quanto vissuto, non era stata una visione creata dalla mia mente.
Osservai con attenzione quei caratteri composti da tratti e punti, i quali mi fecero venire in mente il codice Morse.
Così, abbandonai l’idea di andare a pranzo e mi catapultai alla mia scrivania, al mio computer.
Feci una ricerca in rete per trovare il codice Morse e confrontai i vari caratteri immortalati sul mio telefono con quelli trovati durante la ricerca.
Con delusione mi accorsi che non trovai alcuna similitudine.
Quelli della foto non assomigliavano a nessuno di quelli trovati.
Il mistero si infittiva.
Come fatto dopo l’altra occasione, presi appunti di quell’esperienza, descrivendo ciò che avevo visto, e inviai il tutto alla mia posta elettronica personale.
Non contento, decisi di effettuare altre ricerche in rete.
Andai sul più noto motore di ricerca e mi soffermai a pensare a cosa avrei dovuto cercare.
Non essendo sicuro di quello che avevo vissuto, non sapevo quali termini utilizzare per facilitare la ricerca e rimasi parecchi minuti ad osservare il cursore che lampeggiava sul campo di inserimento del modulo di ricerca, riflettendo sulle mie mosse, come se fossi di fronte a una scacchiera.
Alla fine, mi feci coraggio, appoggiai le mani sulla tastiera e scrissi ciò che volevo cercare: "visioni misteriose".
Il risultato della ricerca non fu affatto d’aiuto.
Comparvero solamente libri o racconti di fantascienza legati alle due parole che avevo inserito.
Decisi di controllare meglio quel risultato, pensando che magari avrei trovato qualcosa di interessante o pertinente, ma niente, purtroppo, quelle due parole non mi furono di aiuto.
«Ehi Michael… già tornato dal pranzo?» chiese uno dei miei colleghi che stava tornando alla sua scrivania.
«Ehm sì… cioè no… ho delle cose da sistemare» risposi distratto.
«Stai bene?» chiese mentre si sedeva.
«Ti vedo più distaccato del solito» fece in seguito.
«Sì… tutto bene… grazie» risposi voltandomi verso di lui.
«Anzi, no! Dimmi! Ti è mai capitato di vedere qualcosa di talmente reale, ma allo stesso tempo inspiegabile… come fosse un sogno?» chiesi a quel collega.
«Sì… mi è capitato» disse lui diventando serio in viso.
«Ogni volta che mia moglie prepara la cena, resto sempre a chiedermi come possa riuscire a preparare quei piatti così impresentabili» disse dopo una breve pausa sollevando lo sguardo verso il soffitto.
«Già. Immagino» risposi tornando con lo sguardo sul monitor del computer, deluso da un’affermazione tanto banale quanto impertinente.
Senza dare troppo nell’occhio, passai l’intero pomeriggio sui motori di ricerca, ma senza trovare niente che potesse aiutarmi a capire ciò che avevo vissuto quel giorno.
Tornato a casa, andai al mio computer e rilessi gli appunti di ciò che avevo vissuto.
Rilessi quelle parole con estrema attenzione nella speranza che mi tornassero alla mente nuovi dettagli.
Ma non fu come mi aspettavo.
Ciò che avevo descritto era esattamente ciò che avevo vissuto e nonostante mi sforzassi di ricordare l’accaduto, non vidi nulla che mi fosse d’aiuto.
Lasciai il computer e andai a sdraiarmi sul divano, dove presi il telefono dalla tasca dei pantaloni e aprii quella foto.
Rimasi ad osservarla con attenzione per qualche ora, quando decisi che sarebbe stato meglio lasciar perdere.
Pensai che fosse stato inutile cercare una spiegazione per ciò che io stesso non riuscivo a spiegare.
Così, mi rassegnai e abbandonai il telefono sul divano per alzarmi in piedi con l’idea di non pensarci più.
Pensai che sarebbe stato inutile focalizzare i miei pensieri su quegli eventi che, magari, erano solo dovuti a fattori di stress o chissà che cosa e decisi di andare in cucina per preparare qualcosa per cena.
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