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Primo Capitolo
Arrivo in hotel
Il treno giunse a destinazione in perfetto orario.
Mentre iniziava a rallentare per avvicinarsi alla stazione, afferrai la borsa che avevo appoggiato sul pavimento prima di partire e mi alzai in piedi per prepararmi ad affrontare il corridoio che conduceva all’uscita della mia carrozza.
Sistemai la borsa sulla spalla e mi incamminai lungo quel piccolo corridoio, appoggiandomi con le mani sugli schienali dei sedili che si trovavano ai miei lati, fino ad arrivare in fondo alla carrozza.
Aprii la porta che separava la carrozza dallo scompartimento che permetteva di raggiungere la porta d’uscita, e mi avvicinai ad una maniglia per afferrarla e attendere che il treno si fosse fermato.
Il treno procedeva lentamente all’interno della stazione d’arrivo, mentre tenevo lo sguardo rivolto verso il finestrino che mi permetteva di osservare i viaggiatori, posizionati ai lati del binario, che stavano attendendo il loro mezzo di trasporto.
Quando il conducente del treno attivò i freni per fermare quel cilindro metallico su cui viaggiavo, fui spinta leggermente in avanti e costretta a stringere con forza quella maniglia per non rischiare di perdere l’equilibrio.
Le porte si aprirono poco dopo e, insieme ad altri viaggiatori che si erano uniti a me, scesi dal treno.
Allontanatami quanto bastava per permettere agli altri di scendere, mi guardai intorno per cercare il sottopassaggio che mi avrebbe permesso di raggiungere l’edificio della stazione.
Trovata l’uscita dai binari, mi incamminai, circondata dalla folla che si stava dirigendo nella mia stessa direzione.
Camminai all’interno di quella galleria, dove si trovavano vari cartelli pubblicitari appesi alle pareti e i consueti tabelloni degli orari dei treni, fino ad arrivare alle scale che conducevano al piano superiore, dove si trovava la stazione stessa.
Uscita dall’edificio, mi fermai sul ciglio del marciapiede e rivolsi lo sguardo verso la strada per cercare un taxi che mi avrebbe condotto al mio hotel.
«Taxi! Taxi!» urlai, sollevando una mano per attirare l’attenzione di un taxi che stava transitando nella mia direzione.
Agitai la mano in aria per richiamare l’attenzione del conducente, ma con dispiacere notai che mi ignorò completamente, proseguendo per la sua strada.
Smisi di agitare la mano e seguii con lo sguardo il taxi che mi stava passando davanti mentre si allontanava sulla mia destra, quando sentii un fischio provenire dalle mie spalle.
Quasi stordita da quel fischio, mi voltai per vedere chi ci fosse.
Trovai un giovane uomo, avrei detto sulla trentina con indosso un abito piuttosto elegante, con le dita di una mano infilate in bocca e l’altra che agitava in aria, mentre guardava verso la strada alla mia sinistra.
Spostai lo sguardo per vedere dove fosse rivolto il suo e vidi un taxi che si stava avvicinando al ciglio del marciapiede per fermarsi proprio di fronte a me che ero rimasto stupita nell’osservare quanto stava accadendo.
«Il suo taxi» fece quel ragazzo.
«Lo ha chiamato lei… direi che sia il suo taxi» risposi, stupita dalla sua gentilezza.
«Prenderò il prossimo… si accomodi, la prego» disse, aprendo lo sportello posteriore del taxi che attendeva il suo passeggero.
Ringraziai quel giovane con un sorriso e, timidamente e leggermente imbarazzata, salii a bordo del taxi ed appoggiai la borsa sul sedile accanto a me.
Chiusi lo sportello e dissi al conducente il nome dell’hotel che dovevo raggiungere.
Dopo aver azzerato il tassametro, il tassista ingranò la marcia e si inserì nel traffico che scorreva alla nostra sinistra.
Mi appoggiai con il gomito destro sul bracciolo della portiera ed osservai la città che scorreva accanto al veicolo che procedeva indisturbato lungo la strada.
Continuai ad osservare la città dalle mille luci fino a quando notai un insolito comportamento del conducente.
Rivolsi lo sguardo verso lo specchietto retrovisore, che mi permetteva di vedere quell’uomo alla guida.
Notai che il conducente teneva gli occhi rivolti verso la strada, ma, di tanto in tanto, li spostava per lanciarmi delle occhiate.
Quell’uomo continuò a lanciarmi occhiate per un po' di tempo, e sembrava volesse dirmi qualcosa.
«Mi scusi… la sto osservando da quando siamo partiti… ma lei è per caso quella scrittrice… Elisabeth da Silva, se non sbaglio» disse all'improvviso.
«Sì, sono io» risposi sorridendo, sorpresa che mi avesse riconosciuta, visto che non pensavo di essere così popolare.
«Mia figlia di dodici anni ha letto tutti i suoi libri… quando le dirò che è salita sul mio taxi, sarà molto emozionata» disse sorridendo.
«Grazie» risposi, ricambiando il sorriso.
Afferrai poi la borsa con entrambe le mani e la aprii per prendere una copia del mio ultimo libro insieme ad una penna.
«Come si chiama sua figlia?» chiesi.
«Sharon… si chiama Sharon» rispose, sempre sorridendo.
Appoggiai il libro sulle gambe e, dopo averlo aperto, scrissi una dedica per la figlia di quell’uomo, aggiungendo alla fine il mio autografo.
«Prenda… per sua figlia» dissi, porgendo il libro al conducente del taxi.
«Stasera ci sarà la presentazione del libro all’hotel in cui alloggio. Ho lasciato un bigliettino con l’invito firmato da me… se vuole portare sua figlia, ne sarò felice» aggiunsi, tornando ad appoggiarmi allo schienale del sedile.
«Grazie, signora… Sharon sarà lieta di assistere alla sua presentazione… grazie… grazie ancora, non mancheremo» disse lui, dopo aver appoggiato quel libro sul sedile del passeggero.
Finita quella piacevole conversazione con il conducente del taxi, il silenzio tornò a regnare all’interno dell’abitacolo.
Lui seguiva la strada, mentre io tornai ad osservare la città che scorreva di fianco a me.
Pochi minuti dopo, vidi in lontananza la sagoma del mio hotel avvicinarsi.
Il tassista rallentò il veicolo e lo introdusse nel vialetto adiacente all’hotel.
Il tassista si fermò di fronte all’ingresso, dove alcune persone stavano parlando tra loro.
«Sono venti dollari, signora da Silva» disse dopo aver fermato il tassametro.
Udite le sue parole, mi affrettai a prendere il portafogli dalla borsa e lo aprii per prendere i soldi richiesti.
«Grazie… spero di vederla stasera» gli dissi, porgendogli il denaro.
«Ci saremo! Mia figlia sarà veramente contenta, e grazie per il libro» rispose, prendendo i soldi.
Scesa dal taxi, mi ritrovai sul marciapiede accanto all’hotel.
Alzai lo sguardo verso la facciata dell’edificio e la osservai dal basso verso l’alto, quando mi incamminai verso l’ingresso, dove altre persone stavano uscendo ed entrando.
Raggiunta la porta d’ingresso, lanciai un’occhiata all’interno e la aprii per entrare nella hall dell’hotel.
Mi diressi verso un bancone in legno, dove mi stava aspettando una giovane donna con i capelli biondi raccolti dietro la nuca, una giacca addosso e uno splendido sorriso che avrei definito cordiale e accogliente.
«Buongiorno… sono Elisabeth da Silva ed ho una prenotazione» mi presentai alla giovane donna una volta raggiunto il bancone.
«Buongiorno e benvenuta, signora da Silva… se vuole darmi i suoi documenti, provvedo alla registrazione» disse la giovane donna, mantenendo il sorriso con cui mi aveva accolta.
Senza perdere tempo, aprii la borsa, presi il passaporto e lo appoggiai sul bancone.
La donna prese il mio documento e, dopo averlo aperto e letto i dati, si affrettò ad inserirli nel computer accanto a lei.
«Signora da Silva, vedo che ha una prenotazione per sole due notti» disse mentre controllava le informazioni sul computer.
«C'è anche un messaggio per lei… la aspettano alle diciannove nella sala delle conferenze del nostro hotel» aggiunse, continuando a consultare i dati.
«Grazie… alle diciannove» risposi alla donna, nonostante sapessi già di quell'appuntamento, poiché il mio agente mi aveva avvisato della presentazione del mio ultimo libro che si sarebbe tenuta proprio in quell'hotel.
La donna, finito di inserire i miei dati nel computer, posò il passaporto sul bancone e poi afferrò una tessera magnetica per programmarla in modo da permettermi di aprire la porta della mia stanza.
Presi il passaporto e lo riposi nella borsa, mentre attendevo che la donna finisse di preparare la chiave.
«Ecco la sua chiave... stanza trecento tredici, terzo piano» disse, posando la chiave sul bancone, senza smettere di sorridere.
«Buona permanenza» fece infine.
Ringraziai la donna e presi la mia chiave.
Mi allontanai dal bancone e mi diressi verso gli ascensori, che si trovavano poco distanti, muovendomi tra le persone radunate nella hall.
Pigiai il pulsante per chiamare l’ascensore ed attesi il suo arrivo, mantenendo lo sguardo rivolto verso le porte di metallo che si trovavano di fronte a me.
Quando l’ascensore giunse a destinazione, le porte si aprirono ed io entrai al suo interno dove pigiai poi il pulsante per inviarlo al terzo piano.
La chiusura delle porte permise all’ascensore di partire verso l’alto, accelerando con delicatezza.
Mi posizionai al centro dell’ascensore ed attesi l’arrivo a destinazione, mentre mi deliziavo le orecchie ascoltando la gradevole musica che suonava attraverso i piccoli altoparlanti posizionati sopra di me.
Arrivata al terzo piano, attesi l’apertura delle porte in modo da permettermi di abbandonare l’ascensore e leggere sulla parete di fronte a me le indicazioni per raggiungere la mia stanza.
Mi incamminai quindi lungo il corridoio che scorreva sulla destra dell’ascensore per raggiungere la mia stanza.
Aperta la porta, ammirai la stanza che aveva prenotato il mio agente.
Davanti ai miei occhi trovai un confortevole salottino, che veniva illuminato da un’ampia vetrata, la quale occupava gran parte della parete.
Sul lato sinistro del soggiorno trovai un divanetto con al suo fianco una piccola scrivania e una lampada posta al di sopra di una struttura metallica.
Sulla mia destra si trovava la camera da letto, con un ampio letto matrimoniale dove erano presenti dei cuscini con gli stemmi dell’hotel e un bagno fornito anche di una vasca a idromassaggio.
Mi considerai piuttosto soddisfatta per la scelta di quella stanza, la quale disponeva di tutti i confort, forse anche troppi visto la mia breve permanenza.
Comunque, entrai al suo interno, dopo aver chiuso la porta dietro le mie spalle, e mi avvicinai al divano per lasciarvi sopra la borsa che tenevo sulla spalla.
Tolta la giacca, che abbandonai di fianco alla borsa, mi avvicinai all’ampia vetrata ed osservai la vista che offriva sulla porzione di città che si estendeva di fronte ai miei occhi.