Michele Scalini
Prossimi all'estinzione
Prossimi all'estinzione
Trama:
Le misure adottate nel passato per ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera hanno compromesso l’intero ecosistema planetario.
La siccità avanza ovunque rendendo impossibile la vita umana nelle aree più meridionali, obbligando la gente a spostarsi verso nord, venendo seguita da quella desertificazione che si sta impossessando dell’intero territorio.
Centinaia di migliaia di persone muoiono ogni giorno e i pochi sopravvissuti vivono nelle ultime città rimaste in attesa che l’estinzione dell’intera razza umana giunga a compimento.
In una di queste città, vive l’agente speciale Michael Sullivan.
Insieme alla sua collega, l’agente speciale Mary García, Sullivan viene incaricato di indagare su di una nuova rete terroristica, chiamata “figli del carbonio”.
Con poche informazioni su cui lavorare, i due procederanno con le indagini su quei terroristi, secondo i quali la città è situata all’interno di una immensa cupola ed è parte di una simulazione con lo scopo di monitorare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla popolazione.
Dettagli Prodotto:
Editore: Independently published
Data pubblicazione: 21 Agosto 2024
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 412 pagine
ISBN: 979-8336525571
Genere: Fantascienza, Thriller, Distopia
Primo Capitolo
Avevo da poco finito di fare colazione e presto sarei dovuto uscire di casa per andare al lavoro.
Come ero solito fare ogni mattina, prima di uscire di casa, sistemai l’angolo cucina, pulendo tutto quello che avevo usato.
In seguito, mi avvicinai alla vetrata, che offriva una splendida vista sul resto della città, mentre bevevo a piccoli sorsi dalla mia tazza di caffè.
Osservavo quegli edifici, i quali venivano celati leggermente da uno strato di nebbia provocato dalla sabbia tirata in aria dal vento caldo che bruciava il nostro mondo.
Puntai lo sguardo in lontananza, oltre i confini della città, dove si estendeva il deserto causato dalla siccità che stava distruggendo il nostro mondo.
Decenni prima, infatti, l’umanità aveva dichiarato guerra a quel fenomeno che, all’epoca, veniva chiamato riscaldamento globale.
Intenzionati a porre rimedio all’aumento delle temperature, che purtroppo non era così evidente come dicevano a quei tempi, decisero di ridurre le emissioni di anidride carbonica.
Ma, sfortunatamente, nonostante avessero tutte le buone intenzioni, commisero un grave errore.
Infatti, la drastica riduzione dell’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre uccise la maggior parte delle foreste e indusse l’intero pianeta in una condizione di siccità perenne, alla quale non si riusciva più a porre rimedio.
E pensare che in quegli anni ci fu un ambientalista, un certo Patrick Moore, che lamentava il fatto che l’anidride carbonica fosse in scarsa quantità in quell’epoca e che andava aumentata.
Non andava diminuita!
Purtroppo, quell’uomo non venne ascoltato e noi tutti ne stavamo pagando le conseguenze nel nostro presente.
Quello che la gente di quel tempo non riusciva a comprendere era che l’anidride carbonica era fondamentale per permettere alla vegetazione di resistere alla siccità.
Inoltre, quell’elemento era necessario per la fotosintesi clorofilliana, un processo che si studiava a scuola fin dalla tenera età.
Attraverso quel processo, infatti, le piante riuscivano a generare ossigeno, elemento fondamentale per la vita sul nostro pianeta.
Ma quegli insegnamenti non servirono a molto!
Quel Moore aveva tentato di avvisarli riguardo all’importanza di quel prezioso elemento, chiamato da lui stesso "il gas della vita", ma risero di lui e proseguirono con il loro macabro piano, non curandosi affatto dei suoi numerosi appelli.
Nel frattempo, mentre la siccità si impossessava del pianeta, le aree più meridionali vennero completamente abbandonate dagli esseri umani, i quali cercarono scampo rifugiandosi in quelle più settentrionali.
Ma anche in quelle zone arrivarono la siccità e la desertificazione, come se non volessero abbandonare quell’umanità che stava morendo a causa dei propri errori.
Ogni giorno morivano milioni di persone per il caldo e per la riduzione dell’ossigeno, elemento fondamentale per l’esistenza sia umana che vegetale sul pianeta.
Anche il cibo, e di conseguenza l’acqua, iniziarono a scarseggiare negli ultimi decenni.
L’amministrazione della città fu costretta ad attuare piani per razionare il cibo, in modo da permettere a tutti di averne a sufficienza per vivere e per non intaccare le scorte, che erano sempre meno.
Quando iniziarono a ridurre le emissioni di anidride carbonica, si contavano otto miliardi di persone sulla Terra.
Ma nel mio tempo, quello che stavo affrontando nel migliore dei modi, erano rimasti poco meno di mezzo miliardo di individui.
Rimanevamo in pochi sulla Terra e dovevamo lottare ogni giorno per poter sopravvivere.
Mentre osservavo l’orizzonte, la vasta distesa di sabbia che si estendeva oltre la città, notai la presenza di un filo di fumo nero che saliva alto nel cielo.
Non mi fu difficile capire cosa stava causando quel fumo.
Da quelle parti, oltre i confini della città, dove nessuno guardava mai, bruciavano i cadaveri che venivano raccolti dalle strade o dalle abitazioni.
Ormai, i cadaveri non venivano più portati nei cimiteri, i quali non esistevano più da tempo.
Venivano lasciati alcune ore in compagnia dei familiari, se ne avevano, in modo da permettere loro di dare l’ultimo addio.
In seguito, venivano infilati all’interno di un sacco nero e portati alla discarica, dove venivano bruciati nel vano tentativo di ripristinare la presenza di anidride carbonica nell’atmosfera.
Ma tutti quegli sforzi non servivano a nulla!
Quel gesto non sarebbe servito a ripristinare quell’elemento nell’atmosfera, e noi tutti lo sapevamo benissimo, come lo sapeva l’amministrazione stessa.
Continuai ad osservare fuori da quella vetrata, sorseggiando il caffè e cercando di evitare di pensare alle condizioni in cui ci eravamo ridotti a causa degli errori del passato.
«Agente Sullivan!» fece la voce metallica del sistema informatico che gestiva la mia abitazione, e la mia vita, per richiamare la mia attenzione.
«Ti informo che all’esterno la temperatura è superiore ai trentotto gradi e sta arrivando una tempesta di sabbia… arrivo previsto in tre minuti!» aggiunse poi.
Mi voltai di lato per vedere cosa stava accadendo e notai un immenso muro di sabbia che si stava avvicinando alla città.
«Chiudi le tapparelle, Jane! Avvisa la centrale che andrò una volta passata la tempesta!» risposi a quel computer.
Le tempeste di sabbia si erano intensificate negli ultimi anni.
A causa delle manipolazioni climatiche fatte in passato, per poter porre rimedio a quel dannato riscaldamento climatico che vedevano solo loro, riuscirono a distruggere l’intero equilibrio del pianeta.
Mi allontanai leggermente dalla vetrata, mentre le tapparelle metalliche si chiudevano, e andai a sedermi sul divano, dove avrei atteso che la tempesta fosse passata.
Continuai a bere dalla tazza del caffè, quando mi accorsi che il vento stava aumentando di intensità.
Rivolsi lo sguardo verso la vetrata, oscurata da quella tapparella di metallo nero che stava leggermente vibrando a causa del vento.
Le vibrazioni aumentarono man mano che la tempesta attraversava la città, così come aumentava il sibilo del vento che infuriava all’esterno della mia abitazione.
D’un tratto, anche il mio divano iniziò a vibrare leggermente a causa del vento che scuoteva l’intero edificio in cui mi trovavo.
Essendo al cinquantesimo piano di un edificio di ottanta, le vibrazioni causate dalla tempesta erano piuttosto accentuate e mi obbligarono ad appoggiare entrambe le mani sui cuscini del divano per cercare di restare fermo.
«Agente Sullivan! Ho avvisato la centrale… la tempesta sta raggiungendo la sua massima forza proprio ora!» fece la voce del computer.
«Lo avevo capito! Grazie per avermelo confermato!» urlai rivolgendomi a Jane.
Le vibrazioni aumentarono drasticamente, così come aumentò il rumore del vento e della sabbia che si scagliavano contro le tapparelle di metallo, che si piegavano per quanto fosse forte.
Cercavo di aggrapparmi ai cuscini del divano, che vibrava anch’esso sotto di me, quando la luce elettrica cessò di illuminare il soggiorno, lasciandomi completamente al buio.
Rimasi seduto con gli occhi spalancati e rivolti verso il buio che si era impossessato del mio appartamento, interrotto solamente da alcuni lampi di luce che si infiltravano sotto le tapparelle, mentre la tempesta continuava ad attraversare la città, portando con sé sabbia e vento.
Il rumore proveniente dall’esterno inondava il mio appartamento e mi costrinse ad avvicinare le mani alle orecchie per coprirle.
Quelle tempeste erano diventate anche più violente.
Un tempo, quando ero un ragazzino, non sarebbero riuscite a scuotere un edificio costruito in cemento armato come quello in cui vivevo.
Nel presente, invece, riuscivano a farlo e a compromettere i sistemi informatici ed elettrici dell’intero stabile, a causa di scariche elettriche che si manifestavano al loro interno.
Dopo diversi minuti, la tempesta iniziò a diminuire la sua intensità.
Le vibrazioni dello stabile iniziarono a diminuire, così come il rumore del vento che infuriava all’esterno.
Le lampade, dopo aver lampeggiato per diversi secondi, tornarono ad illuminare il soggiorno, ed io abbassai le mani per tornare a rilassarmi sul divano.
«Jane! Sei operativa?» domandai al sistema informatico che gestiva il mio appartamento.
Quel computer non rispose alla mia domanda.
In fondo, avrei dovuto aspettarmelo.
Quello sbalzo di tensione, provocato dalla tempesta, aveva sicuramente spento quell’intelligenza artificiale e, tornata l’energia elettrica, avrebbe dovuto riavviarsi prima di essere nuovamente operativa.
Intanto che aspettavo il riavvio di Jane, mi alzai dal divano per dirigermi verso la vetrata per riaprire manualmente le tapparelle.
Azionai il comando posto sulla parete tra le due vetrate per aprire le tapparelle, che iniziarono a salire, permettendo alla luce solare di entrare nel mio appartamento.
«Agente Sullivan!» fece la voce di Jane all’improvviso.
«Riavvio dei sistemi… terminato. Ora sono nuovamente operativa. Suggerisco l’installazione di un sistema di backup dell’energia elettrica per evitare altri spegnimenti improvvisi!» spiegò.
«Jane… lo avevi suggerito anche alcune settimane fa!» risposi.
«Se ancora non l’ho comprato, ci sarà un motivo! Non credi?» le chiesi, dopo essermi voltato verso l’appartamento.
Il motivo c’era ed era più che valido, almeno dal mio punto di vista!
Non sopportavo avere quell’intelligenza artificiale nel mio appartamento, nella mia vita.
E in quei momenti in cui veniva a mancare, mi sentivo finalmente libero.
Ma non potevo assolutamente distruggerla, né spegnerla per sempre!
L’amministrazione lo avrebbe scoperto e, per me, nonostante fossi un agente di polizia, sarebbe stato un grosso problema.
Avrei rischiato anche di venire condannato a morte!
Attraverso quell’intelligenza artificiale, che ci seguiva ovunque essendo anche installata sui nostri telefoni, l’amministrazione ci controllava assiduamente.
La cosa paradossale era che tutte le informazioni raccolte, anche quelle del sottoscritto, andavano a finire alla centrale dove prestavo servizio.
Ma in un altro reparto, non di certo nel mio!
Io ero un agente operativo, ricevevo le informazioni delle persone su cui indagare, ma non potevo accedere alla sala della raccolta.
«E quale sarebbe il motivo, agente Sullivan?» chiese Jane.
Sorrisi a quella domanda mentre muovevo lo sguardo attraverso i mobili della mia abitazione, i quali venivano illuminati dalla luce del sole e da quella generata dalle lampade elettriche, che erano tornate a funzionare come avrebbero dovuto.
«Lavoro troppo!» risposi freddamente, prima di abbandonare il mio punto di osservazione per dirigermi verso l’ingresso dell’appartamento.
Di fianco alla porta si trovava l’appendiabiti dove avevo appoggiato la giacca termica appena rientrato la sera prima e la fondina ascellare con la pistola.
Indossai con calma la fondina e la giacca, tenendo lo sguardo rivolto verso il mobiletto dove avevo lasciato il telefono e il respiratore nasale.
Quel dannato aggeggio andava indossato quando ci trovavamo all’aperto e ci aiutava a respirare quell’aria bollente, con scarsa quantità di ossigeno, che non ci avrebbe permesso di resistere a lungo.
Mentre, quando ci trovavamo all’interno degli edifici, potevamo anche farne a meno, poiché l’intelligenza artificiale riusciva a ripristinare ed equilibrare la presenza di ossigeno.
Senza il respiratore, i nostri polmoni avrebbero respirato l’aria calda e la scarsità di ossigeno avrebbe compromesso il nostro metabolismo.
Indossai il respiratore e, quando mi sentii pronto, lasciai il mio appartamento per dirigermi alla centrale, dove avrei iniziato quella nuova giornata di lavoro.
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