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Primo Capitolo
All’interno dell’astronave
I condotti d'aerazione di questa astronave sono davvero stretti, più di quanto avessi considerato prima di imbarcarmi in questa impresa.
Devo camminare rannicchiato appoggiandomi sui gomiti, trascinando la borsa con l’esplosivo dietro di me, cercando di fare il minor rumore possibile.
Sto percorrendo questi condotti ormai da circa un’ora e mi risulta difficile orientarmi, visto che i Reptilyans non hanno messo segnaletiche all’interno per indicare la via.
Di tanto in tanto, incontro delle targhe che pensino indichino il settore dell’astronave in cui ci si trova, ma appaiono raramente.
Il problema è che, per mia sfortuna, sono scritti in caratteri alieni, non umani.
Comunque, sto percorrendo questi condotto perché devo raggiungere la sala macchine.
Oltretutto, qui dentro c’è poca illuminazione, riuscire a vedere qualcosa è possibile solo grazie alla poca luce che entra attraverso delle grate che danno su corridoi o cabine.
Comunque, per non perdere la concentrazione, il mio piano è quello di raggiungere la sala macchie, trovare il nucleo di energia che alimenta l’intera astronave, piazzare delle cariche esplosive, avviare il timer e scappare verso i gusci di salvataggio prima che quell’orrenda macchina da guerra esploda.
Devo dire che salire a bordo è stata la parte più semplice di tutto il piano.
Approfittando del buio, la notte precedente, mi sono addentrato in una base aliena a terra, dove decollano le navicelle da carico, quelle che fanno i loro viaggi tra la superficie e l’astronave stessa.
Sono rimasto nascosto all’interno di una cassa per tutto il tempo.
Raggiunta la stiva dell’astronave, sono uscito dalla cassa e sono entrato nei condotti d’aerazione.
Prima, però, avevo chiesto indicazioni ad un Reptilyan che avevo incontrato lungo il cammino.
Quel poveraccio mi aveva dato le indicazioni per trovare la sala macchine e fu veramente gentile con me, peccato che si ritrovò con il collo spezzato e chiuso poi in un’altra cassa.
Di certo, non potevo lasciarlo andare in giro per l’astronave a dire che un infiltrato umano si aggirava al suo interno, e comunque, un Reptilyan in meno non avrebbe turbato nessuno, da un certo punto di vista.
Finalmente, con un pizzico di fortuna e grazie al mio istinto, sono riuscito a raggiungere la sala macchine.
È una sala immensa, piena di apparecchiature e tubazioni, con diverse console per il controllo di tutta l’astronave e il pavimento lucido di colore scuro.
Sei Reptilyans stanno controllando i monitor delle console.
Li sto osservando attraverso una grata del condotto d’aerazione posizionata all’altezza del pavimento, mentre cerco di individuare la posizione del nucleo, ma dal mio punto di osservazione non riesco a vederlo.
Devo attendere il momento giusto per entrare nella sala, senza che i Reptilyans si accorgano di me.
Ne approfitto per controllare la grata: vedo che è a incastro su tre lati, mentre la parte superiore è fissata ad una cerniera per permetterne l’apertura.
Per guadagnare tempo, decido di lavorare sugli incastri, con molta calma cercando di evitare di fare rumore.
Nel frattempo, i Reptilyans proseguono nel loro lavoro, totalmente ignari della mia presenza.
Quelle creature sono piuttosto lontane da me e, una volta aperta la grata, potrei entrare nella sala, sgattaiolare al suo interno fino a raggiungere una colonna a pochi metri da me, dove potrei nascondermi.
Con molta calma, sono riuscito a sbloccare gli incastri della grata e ora posso fare il mio ingresso nella sala macchine.
I Reptilyans non mi hanno sentito, quindi mantengo un netto vantaggio su di loro.
La apro leggermente e faccio entrare la borsa con gli esplosivi; poi entro nella sala, muovendomi con attenzione, senza fare rumore.
Sono dentro.
Prendo la borsa e, camminando accovacciato, mi avvicino alla colonna che ho individuato poco prima.
Da qui ho una buona visuale su tutta l’area e posso controllare i movimenti dei Reptilyans, visto che mi trovo proprio dietro ad una delle console di comando.
Mi sporgo leggermente con la testa e vedo, in fondo alla stanza, un’apertura che porta ad una sala che sembra decisamente più grande e più illuminata di quella in cui mi trovo.
Pensando che sia la stanza che contiene il nucleo di energia, mi incammino in quella direzione, accovacciato e coperto dalle console.
Così facendo, i Reptilyans non mi potranno vedere.
Arrivo in fondo alla fila di console e mi trovo di fronte a quell’apertura, e uno spazio vuoto di circa una decina metri mi separa dal mio obiettivo.
Tengo d’occhio i Reptilyans: devo trovare il momento giusto per scattare verso quella sala senza che mi notino.
I Reptilyans lavorano in coppia alle console; due di loro si avvicinano agli altri quattro e iniziano a parlare tra loro.
Non riesco a capire cosa stiano dicendo: si esprimono nella loro lingua originale, che per noi è totalmente incomprensibile, simile a suoni gutturali.
Comunque, questo è il momento per scattare, visto che mi stanno dando le spalle e sono concentrati nei loro discorsi.
Senza pensarci troppo, scatto e corro fin dentro la sala, muovendomi con passi felpati e portando la borsa con me.
Appena entrato, mi getto sulla mia sinistra, dietro la parete che divide le due sale.
Attendo alcuni istanti prima di guardare verso l’interno, trattenendo il respiro, sperando che non arrivi nessuno, quando riesco a capire che mi trovo proprio dove dovrei essere.
Davanti a me, a circa quindici metri, si trova il nucleo di energia che stavo cercando.
Il nucleo è una sfera di diversi metri di diametro, credo almeno una decina, o forse più.
È di colore arancione, con striature nere e bianche; ruota su sé stessa sia sull’asse orizzontale che su quello verticale.
Si trova a pochi centimetri da un basamento in metallo, dal quale partono delle canalette che terminano in scatole di metallo, probabilmente sono dei quadri elettrici o qualcosa di simile.
Vista la situazione del nucleo, avrei appoggiato su quel basamento le cariche esplosive, proprio sotto la sfera.
L’esplosione potrebbe creare una reazione nel nucleo, rendendolo instabile e facendolo esplodere, almeno secondo la mia teoria.
Onestamente, non ho la più pallida idea se il mio piano possa funzionare o meno, ma vale la pena tentare.
E comunque, ormai sono salito a bordo di quest’astronave, quindi devo andare fino in fondo.
Mi guardo intorno e, constatato che ho strada libera, entro in azione avvicinandomi al nucleo per poi posizionarmi sul retro, in modo da rimanere nascosto qualora qualcuno entrasse nella sala.
Quello che mi colpisce all’istante è che il nucleo non emana calore; al tatto è freddo, gelido direi, e la luce che emana non è forte: si può osservare quella sfera senza problemi.
Sorvolo su questi dettagli e mi metto subito al lavoro.
Prendo l’esplosivo dalla borsa: ho circa dieci chilogrammi di plastico da piazzare, trovati all’interno di un mezzo militare abbandonato tra le macerie di una città, sistemare i collegamenti alle cariche e collegare il timer.
Sistemo i panetti di plastico sul basamento, proprio sotto il nucleo, distanziandoli di alcuni centimetri l’uno dall’altro per colpire una superficie più ampia, e preparo i collegamenti con il cavo che ho portato.
Impiego poco tempo per preparare il tutto, avendo già predisposto il sistema prima di imbarcarmi in questa impresa.
Devo solo sistemare l’esplosivo.
Di tanto in tanto lancio un’occhiata verso l’ingresso della sala per assicurarmi che non arrivi nessuno.
I panetti ora sono collegati e pronti per fare il loro lavoro.
Quindi, prendo il timer dalla borsa e lo collego ai terminali che partono dall’esplosivo.
Inserisco la batteria nel timer e lo accendo.
Ora devo solo impostare il tempo di ritardo per innescare l’esplosione.
L’astronave è immensa, almeno dieci chilometri di diametro e trecento metri di altezza, quindi, secondo la mia teoria, l’esplosione dovrebbe avvenire un settore per volta.
In pratica, devo impostare un tempo sufficiente per permettermi di allontanarmi dal settore della sala macchine, considerando eventuali imprevisti, e aggiungere un margine minimo per raggiungere un guscio di salvataggio, che non so dove si trovi.
Sto facendo dei calcoli mentali mentre osservo quel timer, il cui display lampeggia come volesse mettermi fretta per poter mettersi al lavoro.
Da come lampeggia, sembra ansioso di passare dallo stato di quiete a quello di distruzione.
Taglio la testa al toro e, senza pensarci oltre, imposto venti minuti di tempo.
In seguito, imposto anche il cronometro sul mio orologio che porto al polso, in modo da essere sincronizzato con l’esplosivo, ma decido di impostare un minuto in meno.
A questo punto tutto è pronto: devo solo avviare il timer e andarmene dall’astronave il più presto possibile.
Mi guardo ancora intorno e premo con decisione il pulsante di start permettendo a quel timer di entrare immediatamente in azione e scandire il tempo che rimane per la sorpresa che ho preparato per quei dannati alieni.
A questo punti, dovrei muovermi e abbandonare l’astronave prima che sia troppo tardi.